Responsabile

Leo Alati

Paradosso Letta: né pacificazione, né conflitto
Il Pd odia il Cav ma la pensa come lui

La nascita del governo Letta non ha portato né alla pacificazione tra i due maggiori partiti italiani e neppure all’apertura di un conflitto vero tra loro. Questo è il paradosso. Ed esattamente questo paradosso rischia di rendere inutile il governo Letta. Se il governo Letta si rivelerà inutile, Berlusconi avrà vinta la partita politica e probabilmente vincerà il prossimo confronto elettorale.

Cerco di spiegare cosa intendo con “paradosso – Letta”. Il suo governo non ha portato alla pacificazione, nel senso della sospensione delle ostilità “giudiziarie” . Lo stesso nuovo segretario del Pd, Guglielmo Epifani, appena insediato ha aperto le ostilità col Pdl non per la politica economica del Pdl o per la mancanza di una politica dei diritti, ma – come avviene da 20 anni – per la sua politica giudiziaria, cioè per l’avversione della destra verso la magistratura di Milano. E così ha fatto anche Letta, che dopo aver digerito senza fiatare le imposizioni del Pdl in tema di politica economica, a partire dalla “scalpo” dell’abolizione dell’Imu (e cioè la concessione di un premio a favore dei possessori di case e la punizione per i non possessori, cioè per i poveri) ha tuonato contro i ministri di Berlusconi in piazza contro i giudici.

Il copione non è cambiato di una virgola rispetto agli anni scorsi. Pd e Pdl restano due partiti che non trovano occasioni di contrasto sulle grandi scelte politiche e si azzuffano in difesa o contro la magistratura milanese.

Il paradosso è tutto qui. Niente conflitto e niente armistizio. Eppure la nascita del governo Letta poteva essere davvero l’occasione per rovesciare i termini della recente battaglia politica. Poteva essere il luogo dove si scontravano e confliggevano e combattevano due diverse linee politiche. Sulla politica economica, sul fisco, sui grandi diritti sociali e civili. E per fare questo avrebbe potuto anche mettere mano a una riforma della giustizia, gradita al Pdl, che ponesse fine agli arbitrii e alla discrezionalità della magistratura che sicuramente è uno dei mali grandi di questo paese. L’assenza di una giustizia giusta (nelle forme, nei modi, nei tempi, e nell’esercizio delle pene) è uno dei grandi fattori di “inferiorità” dell’Italia nei confronti dell’Occidente. La assenza di garantismo e il protagonismo esasperato di alcune Procure (come quelle di Milano, di Napoli, di Palermo) hanno creato discreti guai negli equilibri politici. E purtroppo, siccome in genere questi guai hanno dato l’impressione (non sempre esatta) di sfavorire la destra e in particolare la persona di Berlusconi, abbiamo assistito allo spostamento su posizioni sempre più “manettare” di quasi tutta la sinistra, di quella radicale e di quella moderata, che si sentiva favorita dai giudici.

Gli ultimi esempi sono quelli dell’indignazione verso una manifestazione di piazza del Pdl contro la magistratura. E perché mai dovrebbe essere proibito manifestare contro uno dei poteri dello Stato, anzi, contro il più arbitrario e incontrollato dei poteri (dove spesso uno o tre giudici decidono da soli e sulla base delle loro preferenze, sulla colpevolezza o meno dell’imputato, e dove non esiste la parità tra difesa e accusa, e dove sempre più spesso si condanna in totale assenza di prove, non solo nei processi politici, e dove i giudici non sono chiamati mai a rispondere dei loro errori, basta pensare a quei giudici folli del processo Tortora che furono promossi e premiati per il loro rocambolesco errore…)? Non riesco proprio a capire perché sia permesso protestare contro un governo, o contro il premier, o contro il Presidente della repubblica, o contro una legge dello Stato, ma non contro un tribunale o una sentenza. Forse il tribunale è sacro, è divino?

Il riaccendersi della spirale berlusconismo – antiberlusconismo è purtroppo la prova provata che Berlusconi, che pure aveva perso clamorosamente le sue battaglie nell’estate-autunno 2011, è stato pienamente resuscitato, sicuramente dalla sua abilità ma soprattutto dalla abilità autolesionista della sinistra.

Ora bisognerà vedere cosa riuscirà a fare Guglielmo Epifani. La sua prima uscita filo-giudici non è stata incoraggiante, ma era quasi obbligatoria nel rispetto del politically correct e della “quantità minima di grillismo” che oggi la sinistra si è autoimposta. Del resto il giorno dell’elezione di Epifani c’era un gruppo di giovani manifestanti che contestavano il Pd per non aver eletto Prodi al Quirinale, cioè per non aver definitivamente consegnato l’Italia alle oligarchie e alle banche europee. E questi giovani erano considerati, un po’ da tutti, contestatori del Pd da sinistra, Figuriamoci se lo contestavano da destra…

Epifani, probabilmente, il primo giorno non poteva sottrarsi all’omaggio alla forca. Ora però dovrà decidere se fare il segretario sotto il ricatto di Travaglio e di Repubblica o se imporre la riconquista, da parte del Pd, dell’autonomia politica senza la quale un partito non esiste. E dunque, sulla base di questa autonomia, costruire una politica del Pd, alternativa a quella di Berlusconi, da giocarsi sul tavolo del governo di unità nazionale per ottenere dal governo qualcosa di sinistra. Se lo farà – e ha i numeri per farlo perché è un dirigente di peso e dalla spalle larghe – in Italia si riaprirà al lotta politica. Altrimenti, se farà il re travicello, l’Italia sarà consegnata di nuovo, legata mani e piedi, a Berlusconi. E Flores potrà continuare a strepitare che l’unico modo per salvare il paese è sospendere la democrazia e sbattere il cavaliere in cella…

Articolo di Piero Sansonetti pubblicato il 20 maggio 2013 su Gli Altri

(26 maggio 2013)

© 2012 La Risaia   La voce dei riformisti vercellesi

Webmaster & Design by Francesco Alati

Home