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Leo Alati

È diventato leader in Europa prendendo in azienda solo asini

Nell’allevamento di Montebaducco pascolano 800 somari di tutte le razze: producono latte e cosmetici, molti li comprano per la pet therapy

Quando comprò i suoi primi tre somari da un contadino del Reggiano, all’inizio degli anni 90, gli asini in Italia si stavano praticamente estinguendo, perché all’agricoltura meccanizzata non servivano più a niente. Oggi Giuseppe Borghi, 71 anni, nella sua azienda agricola di Montebaducco ne ha 800 di otto razze diverse, il che ne fa l’allevamento più grande d’Europa: romagnoli, amiatini, di Martina Franca, e poi sardi, irlandesi, egiziani, spagnoli, di San Domenico, vivono in semilibertà fra stalla e colli del primo Appennino reggiano. Il latte d’asina, il più simile al latte materno della razza umana, viene munto e liofilizzato sul posto per poi essere distribuito nei negozi bio di tutta Italia - è in assoluto il più indicato per i bambini intolleranti al latte vaccino -, oppure viene usato per ricavarne dei cosmetici (qualcuno ricorda i leggendari bagni nel latte di Poppea?).

 

Ma non finisce qui: i ciuchi, probabilmente più intelligenti del cugino più nobile, il cavallo, e sicuramente più mansueti e affettuosi, vengono acquistati nelle strutture per anziani, oppure sono usati per la pet therapy con i disabili. C’è anche chi, avendo lo spazio, se li compra come animali da compagnia: «Un signore ne ha voluti due per festeggiare i dieci anni di matrimonio, e una ragazza l’ha chiesto come regalo di fidanzamento - racconta Borghi -. Mantenerli costa meno di un cane, bastano quattro chili di fieno e uno di farina al giorno. Noi ne vendiamo circa 200 all’anno, il prezzo varia fra i 400 e i mille euro. Oltre ai privati fra i nostri clienti ci sono case di riposo per anziani e centri per i portatori di handicap». L’anno scorso si è fatto vivo addirittura papa Francesco: «In Vaticano avevano saputo della nostra attività, così abbiamo pensato di regalare al Pontefice due asini, che adesso stanno a Castel Gandolfo. Quando ci siamo incontrati, il Papa ci ha raccontato che il suo interesse per i nostri animali è nato perché lui da bambino aveva bevuto il latte d’asina: sua madre non aveva il latte, e un tempo si rimediava così».

 

Del resto la passione di Giuseppe Borghi, che oggi si coccola i suoi ciuchi con amore paterno, ha origini antiche, che risalgono all’epoca in cui i somari erano una presenza necessaria in ogni fattoria: «Mio padre, che faceva il contadino, ne aveva uno che poi ha venduto quando ha preso il trattore - spiega accarezzando il testone di Willy, un maschio grigio di quattro anni accorso subito al suo richiamo -. All’inizio, quando ho pensato di cominciare ad allevarli, ho fatto fatica a rintracciarli, perché in Italia erano quasi scomparsi. Poi, uno o due alla volta, ne ho trovati in Abruzzo, in Toscana, in Sardegna, dove erano un po’ più numerosi. Nel ’96 ne avevo una cinquantina, nel 2000 abbiamo cominciato a mungerle. Ogni asina produce un litro e mezzo di latte al giorno, siamo ben lontani dalle mucche, che ne fanno 40». Ecco perché il prezzo di un litro è di 15 euro, mentre il liofilizzato raggiunge i 30.

 

Oggi l’azienda di Montebaducco, dal nome del colle dove i ciuchi scorrazzano in libertà prima di tornare alle stalle, è l’unica a ospitare l’intera filiera, dal foraggio naturale al confezionamento del latte liofilizzato, e per l’anno prossimo si prepara a un’altra esclusiva: «Produrremo il formaggio, una cosa non facile perché è un latte magrissimo, e siamo riusciti a trovare il caglio giusto, che è quello del cammello. Saremo pronti a metà del 2017». 

 

Intanto le asine si mettono disciplinatamente in fila per essere avviate alla mungitura, come se qualcuno avesse detto loro che è arrivato il momento: «Glielo abbiamo insegnato e loro hanno imparato, gliel’ho detto che è un animale intelligente».  

 

Poco lontano ecco il reparto maternità, con le esemplari gravide e le madri coi cuccioli appena nati: «A differenza di quel che avviene negli allevamenti intensivi di ovini, dove i vitelli vengono strappati alle madri appena nati, qui i piccoli restano con loro - spiega Borghi -. La qualità del latte è migliore, perché non c’è lo stress del dolore della separazione. D’altra parte, l’asina non farebbe più latte se non fosse stimolata dal piccolo».

Articolo di Franco Giubilei pubblicato su La Stampa il 13 settembre 2016

20 settembre 2016

 

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