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Leo Alati

Custodito a Vercelli, nessuno sa come sia arrivato lì

Il mistero del libro che ha dato vita all’inglese di oggi

Un team di studiosi tedeschi chiamato a risolvere il caso

Il Vercelli Book è conservato alla Biblioteca Capitolare di Vercelli con particolari cureNel buio degli archivi della biblioteca capitolare di Vercelli non c’è un’Arca da salvare, ma un mistero che attraversa i secoli. E nessun Indiana Jones è mai riuscito a svelarlo. Da anni studiosi da tutto il mondo arrivano qui, nella sede della prima diocesi del Piemonte, per studiare il «Vercelli Book», uno dei più antichi e affascinanti testi in lingua anglosassone esistenti al mondo. Dicono che sia la pietra miliare dell’inglese di oggi: come una Divina Commedia o una Stele di Rosetta. Ne sono convinti gli esperti delle università più disparate che puoi incrociare in primavera dietro al duomo. Ora sono attesi professori e ricercatori di Gottinga.

 

Hanno tutti due domande, ma le risposte non ci sono nonostante i progressi della scienza: come ha fatto il libro ad arrivare a Vercelli, e perché proprio qui? L’unica cosa che si sa è l’epoca: tra la fine del X secolo e l’inizio dell’XI secolo il Vercelli Book è arrivato tra gli scaffali della biblioteca da uno Scriptorium - la «casa» degli antichi monaci amanuensi - dell’Inghilterra del sud-est. Ma prima del 1822 nessuno aveva capito quanto fosse prezioso. Ci ha pensato un giurista tedesco, Friedrich Blume, in visita quasi casuale, a restituirgli il rango che merita. È in antico inglese, quanto di più lontano dal latino medievale possa esistere. E contiene molta della produzione poetica di quell’epoca. Nulla da invidiare ai codici conservati a Londra, Exeter e Oxford.

 

È con Blume che si è iniziato a cercare risposte. E a toccare con una certa insistenza quelle pagine fatte di pergamena, spesse come se fossero cuoio ma rese delicate dal tempo che scorre. Tanto da consumarsi, letteralmente. I segni sono buchi, cuciture con ago e filo, ma anche tentativi di restauro di maldestri artigiani del passato, che con potenti reagenti cercavano di recuperare testi che già allora non si leggevano più.

 

A Vercelli, crocevia di viaggiatori già nel Medioevo, c’erano ostelli per pellegrini e mercanti che si avventuravano lungo la via Francigena, uno dei rami del cammino verso Canterbury. Da qui, nei racconti, spunta il nome dell’arcivescovo Sigerico, protagonista attorno al 990. O ancora potrebbe far parte di un lascito del vescovo Ulf di Dorchester, che durante il Concilio di Vercelli del 1050 venne accusato di non esercitare correttamente il proprio ufficio: per mantenere la carica pastorale fu costretto a consegnare un tesoro. Forse il Vercelli Book, appunto. «Il mistero non è ancora svelato - commenta Timoty Leonardi, conservatore dei manoscritti della biblioteca capitolare -, nonostante sia oggetto di continui studi. Da tanto, tanto tempo».

Articolo di Alessandro Ballesio e Roberto Maggio pubblicato su La Stampa il 9 febbraio 2016

 

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