Responsabile

Leo Alati

E se fosse l’uomo a essere diventato inutile?

Gli studi uma­ni­stici non ser­vono a nulla.

O sei ricco di fami­glia, oppure devi sapere che sce­gliere di stu­diare all’Università filo­so­fia, let­tere, sto­ria, sto­ria dell’arte, socio­lo­gia e inu­ti­lità simili, equi­vale al tuo sui­ci­dio pro­fes­sio­nale e quindi sociale.

A soste­nerlo, ali­men­tando una sapiente pole­mica ago­stana, è stato il vice­di­ret­tore de «Il Fatto quo­ti­diano» Ste­fano Feltri.

Suf­fra­gando tale affer­ma­zione con uno stu­dio del Ceps di Bru­xel­les, in cui si dimo­stra, numeri alla mano e con rife­ri­mento spe­ci­fico all’Italia, che il tasso di occu­pa­zione di coloro che escono dagli studi uni­ver­si­tari crolla pesan­te­mente tanto più que­gli stessi studi hanno avuto a che fare con le disci­pline umanistiche.

GLI STUDI UMANISTICI SONO INUTILI

Ste­fano Fel­tri ha ragione. O meglio, i numeri e quindi la realtà fat­tuale gli danno ragione.

A nulla serve sca­gliarsi con­tro di lui, come pur molti si sono sen­titi di fare, magari tirando in ballo i costo­sis­simi studi alla Boc­coni che il signore ha potuto per­met­tersi gra­zie al sup­porto della famiglia.

Si è trat­tato di una cri­tica sciocca, che per una pro­prietà tran­si­tiva tutt’altro che neces­sa­ria, ha con­dotto il diretto inte­res­sato a una replica altret­tanto sciocca e miope.

La sua fami­glia, que­sta la rea­zione di Fel­tri, ha com­piuto dei sacri­fici per per­met­tersi la retta del pre­sti­gioso Ate­neo pri­vato. Circa cin­quan­ta­mila euro netti di sola retta. Esclu­dendo vitto, allog­gio, libri e quant’altro.

Non credo che la sua fami­glia abbia dovuto sacri­fi­care, che so, un pasto set­ti­ma­nale, una qual­che cura medica o in gene­rale beni di prima neces­sità. Tenendo conto che molti, magari assai meri­te­voli, devono sacri­fi­care la stessa pro­spet­tiva degli studi uni­ver­si­tari per man­canza di appoggi famigliari.

Va bene. Alla scioc­chezza clas­si­sta dei suoi detrat­tori, il gio­vane vice­di­ret­tore non ha saputo far meglio che repli­care uti­liz­zando la stessa arma miserevole.

Con l’aggravante che lui fa parte di quella ristretta por­zione di per­sone il cui lavoro rende molto e bene, per cui un po’ di cau­tela in più sarebbe stata oppor­tuna, oltre che gra­dita. Spe­cie da un gior­na­li­sta che, in quanto tale, gode di uno spa­zio pub­blico ine­vi­ta­bil­mente privilegiato.

Senza con­tare che, a essere one­sti, biso­gne­rebbe chie­dersi con quanto merito anche da parte dell’illustre e pri­vi­le­giato mondo acca­de­mico che il Fel­tri ha potuto per­met­tersi di fre­quen­tare per anni.

Ma sor­vo­liamo sull’accaduto e con­cen­tria­moci sul presente.

Fel­tri ha ragione. Il dato di fatto (i lau­reati in mate­rie uma­ni­sti­che hanno scarse pos­si­bi­lità di tro­vare lavoro) giu­sti­fica il suo giu­di­zio di fatto.

È un gior­na­li­sta, come tale è depu­tato a for­nire infor­ma­zioni, e ha deciso di divul­gare tale noti­zia sup­por­tan­dola con la cita­zione di uno stu­dio europeo.

Ma ha com­messo un errore sostan­ziale. Tra­sfor­mando un giu­di­zio di fatto (ogget­tivo) in un giu­di­zio di valore (sog­get­tivo). Fel­tri, poco avvezzo agli studi uma­ni­stici, mi per­do­nerà la sot­ti­gliezza di deri­va­zione webe­riana, anche per­ché adesso cerco di spie­garmi più chiaramente.

SUPERFICIALITA

Con­sta­tare che gli studi uma­ni­stici non favo­ri­scono l’ingresso nel mer­cato del lavoro (dato ogget­tivo), per poi rea­gire a que­sto dato sug­ge­rendo e per­sino inti­mando ai gio­vani di sce­gliere la facoltà che vogliono (pur­ché sap­piano a cosa vanno incon­tro – dato sog­get­tivo), è altret­tanto miope che con­sta­tare i danni dell’emigrazione di massa (con impos­si­bi­lità di acco­glienza per tutti da parte dei paesi bene­stanti), e non tro­vare niente di meglio da fare che pren­der­sela con quei dispe­rati la cui colpa è ten­tare di sfug­gire a una vita di mise­ria e umi­lia­zione o addi­rit­tura alla morte.

Non sto a discu­tere se un com­pito simile può essere richie­sto a un gior­na­li­sta, ma di certo gli studi uma­ni­stici, fra le altre cose, inse­gnano ad ampliare lo sguardo, fino a porsi una domanda che va ben oltre il dato imme­diato e ogget­tivo: per­ché accade una cosa? Quali sono le ori­gini di un feno­meno sto­rico e sociale? A chi con­viene pen­sare che il dato ogget­tivo, in quanto tale, debba essere neces­sa­rio e immodificabile?

Una società sana, caro Fel­tri, ossia una società che non vuole cadere vit­tima dell’ignoranza (del pro­prio pas­sato, dei feno­meni che la riguar­dano, delle situa­zioni che si trova a subire), dovrebbe inve­stire una buona parte dei soldi pub­blici (per­ché il pro­fondo gior­na­li­sta con­te­sta anche gli scarsi inve­sti­menti sulle facoltà uma­ni­sti­che) pro­prio su que­gli studi, quelle disci­pline e con­se­guen­te­mente quelle pro­fes­sioni che man­ten­gono lo stu­dio dell’uomo (come della sua sto­ria, dei suoi pen­sieri, dei feno­meni che lo riguar­dano a ogni livello) al cen­tro del pro­prio orizzonte.

A meno che non si intenda (e non si chieda) di ras­se­gnarsi alla logica quan­ti­ta­tiva del mer­cato: tutto ciò che non pro­duce un’immediata rica­duta eco­no­mica va giu­di­cato per ciò stesso inu­tile e da abo­lire. Seguire pas­si­va­mente que­sta logica, ras­se­gnarsi al corso degli eventi, a un pre­sente che ci parla della mer­ci­fi­ca­zione gene­rale di uomini, idee, pro­getti e per­sino studi uni­ver­si­tari, signi­fica arren­dersi al domi­nus incon­tra­stato della teo­lo­gia economica.

Il dio Mer­cato ci dice che è inu­tile tutto ciò che non rac­co­glie suc­cesso nelle sue terre sacre, e allora ecco i sad­du­cei dei nostri giorni (oggi sono spesso gior­na­li­sti o intel­let­tuali ben pagati, che fin­gono di opporsi a una casta fit­ti­zia pro­prio men­tre sosten­gono di fatto quella reale), oltre­modo zelanti nel met­tere in guar­dia i poveri pel­le­grini inti­man­do­gli di pren­dere le scelte giu­ste (quelle impo­ste dal potere dominante).

Una società sana, che è con­sa­pe­vole che il mer­cato non copre tutti gli ambiti della vicenda umana, sa benis­simo che occor­rono ottimi inse­gnanti di mate­rie uma­ni­sti­che, per esem­pio, in grado di for­mare un’opinione pub­blica che non abboc­chi ottu­sa­mente e pas­si­va­mente alle pro­pa­gande dei furbi, che non cada vit­tima del raz­zi­smo (e quindi della vio­lenza) più bieco e fune­sto. Una società sana sa che i pro­pri cit­ta­dini devono cono­scere la Sto­ria per­ché essa forma indi­vi­dui consapevoli.

Senza con­tare che l’Italia, capi­tale del mondo della cul­tura uma­ni­stica, archi­tet­to­nica e arti­stica, potrebbe veder salire e di molto i pro­pri introiti se solo si inve­stisse di più su quelle figure pro­fes­sio­nali che potreb­bero final­mente valo­riz­zare appieno il nostro patri­mo­nio culturale.

L’INUTILITA’ DI TUTTO CIO’ CHE E’ UMANO

Che logica sciocca è mai quella che ci viene inti­mata da chi si ras­se­gna pas­si­va­mente alla ten­denza del tempo pre­sente? Quanto tempo ci vorrà, seguendo tale logica, per­ché si sco­pra che anche la sanità, per esem­pio, non pro­duce pro­fitto ma rien­tra ine­vi­ta­bil­mente sotto la voce della spesa sociale? E la giu­sti­zia, che pro­fitto mai può pro­durre la difesa orga­niz­zata di ciò che è giu­sto e legale rispetto a ciò che è ingiu­sto e illegale?

E l’amore? E l’amicizia? Ascol­tando Fel­tri cosa dovremmo fare, essere con­sa­pe­voli che è meglio amare un uomo e una donna ric­chi per­ché altri­menti la nostra fami­glia sarà molto più sten­tata? Oppure che è meglio essere amici dei potenti, per­ché i pove­racci non pos­sono ricam­biarti con nulla, e anzi spesso fini­sce che ingua­iano pure te?

Gli anti­chi, che erano piut­to­sto saggi, chia­ma­vano lo stato «res publica» pro­prio per­ché esso riguarda l’interesse di tutti. Esso ha richie­sto il sacri­fi­cio di una por­zione di libertà indi­vi­duale per­ché gli venisse con­fe­rita la pos­si­bi­lità di garan­tire il benes­sere collettivo.

Il benes­sere col­let­tivo è dato anche dalla cul­tura, dal livello medio del discorso pub­blico, dalla difesa dell’istruzione, della sanità e della giu­sti­zia per tutti i cittadini.

Cose che non ser­vono, è vero, per­ché di niente e nes­suno devono essere serve, e affin­ché ciò sia pos­si­bile la Poli­tica (quella con la maiu­scola) deve pre­ve­dere di finan­ziarle e ren­derle frui­bili in vista non di ciò che chiede o con­sente il Mer­cato, ma in vista di quel bene in via di estin­zione che si chiama inte­resse generale.

Un gior­nale real­mente inten­zio­nato a com­bat­tere la «casta» (quindi i poteri forti del pri­vi­le­gio e dell’aristocrazia), invece di inti­mare ai gio­vani di stu­diare ciò che il mer­cato (e solo esso) richiede e pre­mia, dovrebbe chie­dere conto alla classe poli­tica e diri­gente del per­ché que­sta ha impie­gato

e impiega somme esor­bi­tanti di soldi pub­blici per sal­vare ban­che e imprese che delocalizzano.

A fronte di tagli indi­scri­mi­nati e gra­vosi sulla scuola pub­blica, sulla ricerca, sulla sicu­rezza, sulla giu­sti­zia e sì, anche su quella cul­tura uma­ni­stica che, quelli come Fel­tri e i boc­co­niani non lo capi­ranno mai, rap­pre­senta oggi l’ultimo e irri­nun­cia­bile baluardo per­ché le nostre società non degra­dino del tutto.

Finendo domi­nate da un sistema e da una logica, quella della tecno-finanza, in cui la pro­du­zione e il pro­gresso non sono più per l’uomo ma avven­gono per mezzo di esso; e dove anche nel campo della cul­tura l’enorme e per­va­siva cassa di riso­nanza del main­stream media­tico sta affer­mando un sapere e un pen­siero di cui l’uomo non è tito­lare bensì sem­plice utente.

Il pro­blema vero, ben più in pro­fon­dità rispetto alla super­fi­cie di que­sta ste­rile pole­mica estiva, non è tanto se gli studi uma­ni­stici siano utili o inu­tili per tro­vare lavoro.

Ma piut­to­sto quanto risulti utile o inu­tile l’essere umano stesso, all’interno di un oriz­zonte di senso in cui, per lavo­rare, gli viene chie­sto di rinun­ciare a se stesso.

Articolo di Paolo Ercolani pubblicato su Il Manifesto il 2 settembre 2015

 

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