Responsabile

Leo Alati

Tutte le parole del vino

Racconto di Silvano Nuvolone

Giulio non avrebbe mai voluto ricevere quella telefonata.

La voce dell’avvocato era stata chiara.

Il podere delle vigne sarebbe stato venduto; così avevano deciso Guido e Francesco.

Dopo la morte del padre, i rapporti fra i due si erano deteriorati e le liti erano ormai sempre più frequenti, fino al giorno in cui erano partiti, ognuno verso vite diverse, lasciando la proprietà nelle mani di Giulio, che era stato fattore ed amico di loro padre.

Il vecchio aveva visto le terre cambiare di padrone, mentre nuove case spuntavano dove prima cresceva il grano.

Aveva imprecato, pianto e sopportato tutto, deciso e tenace, come ogni vecchio in quella terra avara, ma non avrebbe permesso che anche il podere delle vigne andasse perduto; avrebbe voluto indignarsi, lottare, prendere per il collo quei due giovani, costringerli a ragionare.

Era vecchio ed il suo cuore troppo spesso si perdeva nei ricordi, guardando quelle colline e quei filari, centellinando con gli occhi le perle scure dei grappoli.

Era vecchio, viveva nel tempo dove le azioni terminavano e lasciavano spazio ai rimpianti, alle nostalgie.

Lasciò che il suo sguardo si perdesse oltre quell’orizzonte verde, dove sapeva esserci un mare, così poco lontano da sembrare impossibile; eppure lo sentiva nell’aria, una brezza che giungeva in punta di piedi, a profumare l’aria e l’uva.

Fuori era tramonto, un cielo aranciato e brillante, con i primi lumi di stella che cercavano spazio fra fili di nube, quando decise che doveva fare qualcosa e non soltanto per se stesso. Il giorno appresso, scrisse ai fratelli due lettere, uguali.

Prese carta e penna e vergò le missive adagio, con grafia elegante e desueta, la stessa con la quale aveva compilato per anni i registri della tenuta, il dare e l’avere, le ordinazioni, i pagamenti. Le portò alla Posta e le fece partire come raccomandate.

Poi, prese le chiavi della casa sul podere delle vigne ed inforcò la sua bicicletta, una Bianchi nera.

La salita era ripida, giunto a metà, credette di non farcela, ma strinse i denti e pigiò sui pedali, finché la casa di mattoni rossi comparve, dietro una cascata di glicine.

Entrò .Era quasi un anno che non ci metteva piede.  I mobili di noce erano stati coperti con teli, così come le poltrone ed i tavoli.

L’odore della polvere aveva sostituito il profumo della terra e delle stagioni, un odore uguale e stantio, un odore di sconfitta.

Aprì qualche finestra e la luce del mattino brillò fra quelle cose perdute. Non era lì per perdersi fra quelle memorie; non era ancora tempo.

Scese nella cantina di tufo, scavata nella collina.

Le botti erano vuote, sentinelle in una fortezza abbandonata, come le bottiglie scure impilate in ordine, pronte ad accogliere nuovo nettare ed ora lasciate lì, ad attendere.

Cercò nelle nicchie nascoste, dove un tempo il vino migliore invecchiava adagio, senza fretta, mentre fuori nuove stagioni passavano e altre lune sorgevano.

 D’un tratto, trovò quel che cercava. Uscì e tornò a casa, scivolando come ombra fra i filari.

La segretaria di Francesco notò quella raccomandata strana fra la posta.

Spiccava, quella scrittura antica, stilata a mano con inchiostro nero.

“ Certamente chi l’ha scritta non conosce le e-mail” Disse con un sorriso, porgendo la strana busta.

Francesco non la guardò neppure, impegnato nel lavoro.

Tornato da una veloce pausa pranzo, in un attimo di curiosità, la aprì.

 Il fattore di suo padre, lo invitava al podere delle vigne domenica prossima.

La lettera era rispettosa ma ferma.

Avrebbe dovuto andarci, per rispetto. Così terminava, perentoriamente.

Una strana richiesta, quella del vecchio.

Ricordava come aveva dato mandato ai suoi legali di vendere quel podere e di come si erano accordati con gli avvocati di suo fratello.

Più nulla lo legava a quel luogo, più nulla.

Fece il gesto di gettare la lettera nel cestino, poi ci ripensò e la lasciò dov’era, in cima ad una pila di carte.

Chissà, magari avrebbe potuto fare una scappata, in quel podere, prima che lo vendessero. Magari avrebbe trovato qualche oggetto insolito, qualcosa che sarebbe stato d’incanto sul camino della sua casa al mare .Sì, avrebbe anche potuto andarci.

Guido rigirava fra le mani la lettera del vecchio fattore.

 Spesso aveva avuto l’istinto di tornare in quel luogo, di rivedere quella che era stata la sua terra.

Sempre ci aveva ripensato; era stato grande il timore di risvegliare dentro di se nostalgie sopite, magari ricordare  quello che quel luogo era stato.

Non solo per suo padre, anche per lui e suo fratello.

Un luogo d’unione, prima che stolti litigi separassero le loro vite, prima che sterili lame d’orgoglio dividessero i loro cammini.

La lettera vergata con l’inchiostro di china nero era carta stropicciata fra mani sudate.

Sì, avrebbe dovuto andarci, almeno un’ultima volta.

Quel giorno era limpido, chiaro di sole e fresco, col verde brillante delle colline che faceva a gara col diamante del cielo.

Guido era arrivato per primo ed il fattore lo aveva accompagnato in sala da pranzo.

Il vecchio aveva tolto i teli ad un tavolo di noce e ripulito alcune sedie.

Giulio lo aveva ringraziato per essere venuto, poi lo aveva pregato di aspettare.

“Aspettare cosa?”

Un cenno di silenzio, mentre fuori la luce del mattino si trasformava in giorno.

Poco dopo, era giunto anche Francesco.

Prima che i due potessero parlare, Giulio tacitò entrambi con un gesto di mano, come avrebbe fatto un padre; poi uscì dalla stanza e vi rientrò poco dopo, portando un vassoio con una bottiglia e due bicchieri.

Sempre in silenzio, versò con ogni cura il nettare prezioso.

Era un vino di un’annata particolare e quella era l’ultima bottiglia.

Invitò i due giovani a bere quel vino, sperando.

E quel vino parlò. Parlò di giorni di sole, di corse a piedi nudi e pantaloni corti fra strade di ghiaia, parlò di amori e labbra rosse da baciare.

Parlò di promesse, di colori e di terra.

Di quella terra ne aveva il profumo, di quegli uomini, la tenacia ed il rispetto.

Fu Guido il primo a tendere la mano.

Francesco la strinse, mentre gli occhi dicevano quello che voleva il cuore.

“Fratelli?”

“Non solo.” Rispose Guido. “Amici.”

24 marzo 2014

 

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