Tigre antipolitica? Cominciò il Pds
Ho letto l’articolo di Alfredo Reichlin e capisco le sue
fondate preoccupazioni per i caratteri che ha assunto la
crisi economica e sociale che in Italia si è intrecciata
con una spaventosa delegittimazione della politica.
È anche vero che è in atto una campagna condotta dai
grandi giornali (non solo dal Corriere della sera, ma
anche da Repubblica e da quelli più “aggressivi”, come
il Fatto quotidiano) in cui prevale lo scandalo (che
c’è) e manca l’indicazione di una via d’uscita. Io penso
che un grande giornale è tale se indica strade
alternative a quelle che critica con tanta asprezza,
soprattutto nel momento in cui si dice che in
discussione sono le istituzioni, la democrazia. Mettere
tutti nello stesso sacco è un’affermazione futile ma
devastante.
Tuttavia, per capire quel che sta accadendo non occorre
ricordare gli errori del Corriere di Albertini che
attaccava Giolitti e si beccò Mussolini. Andiamo
all’oggi e ricordiamo insieme quel che insieme abbiamo
vissuto venti anni addietro, quando sulla scena politica
e giornalistica c’era gran parte delle persone che sono
ancora oggi sul palcoscenico. Mondo operaio ha
pubblicato l’ultimo capitolo di un saggio del compianto
Luciano Cafagna, «La grande slavina» (uscì nel mese di
luglio del 1993), che inizia con queste parole: «La
nostra democrazia sta correndo un rischio mortale». E
dopo un’analisi di ciò che era successo negli anni
dell’«allegro saccheggio» e dei mali accumulati,
scriveva: «Oggi a tutti questi mali, però, sembra se ne
stia aggiungendo uno più grande e più pericoloso: l’odio
di se stessa. L’indignazione è grande e monta. Ma può
agire in modo inconsulto. Stiamo attenti a non segare
l’albero sul quale siamo seduti».
Sono parole che possono attagliarsi bene all’oggi. Ma
attenzione alla data: nel 1993 il Pds faceva un’analisi
del tutto diversa. C’era euforia, lo scontro a Roma tra
Fini e Rutelli, a Napoli tra la Mussolini e Bassolino, a
Palermo Orlando che non aveva avversari, a Torino il
ballottaggio tra due esponenti della sinistra,
Castellani e Novelli, a Venezia Cacciari e a Catania
Bianco che vincevano senza problemi, e così a Messina e
in Calabria: il «Partito dei sindaci». Il Pds alleato
con la Rete di Orlando che avallava giustizialismo e
antipolitica, ignorava che la Lega nelle elezioni del
1992, prima di Tangentopoli, aveva eletto 80
parlamentari e alzava il cappio in Parlamento. I grandi
quotidiani come il Corriere, le Tv pubbliche e di
Berlusconi quel cappio l’avevano allestito. Non mi
risulta, caro Alfredo, che il Pds abbia contrastato
l’antipolitica, dato che nel 1994 Leoluca Orlando è alla
guida con Occhetto dei «Progressisti» e si prepara ad
accogliere Antonio Di Pietro come garante della
legalità. La corruzione c’era e bisognava colpirla, ma
la campagna assunse dimensioni e qualità tali da
delegittimare la politica. In quel saggio Cafagna
scriveva: «Non è mai successo che la distruzione
provochi la ricostruzione». E ammoniva:«Bisogna
riprendere il controllo. Prima che lo facciano
personaggi poco raccomandabili».
E i personaggi arrivarono: nel 1994 il Cavaliere
benedetto, come ricorda Reichlin, dall’establishment. E
in questi vent’anni i partiti veri, con una loro
autonoma base politico-culturale e una strategia
leggibile, non sono stati ricostruiti. I sistemi
politici, scriveva Luciano, «non consistono soltanto in
un metodo elettorale. E non sono abiti allineati in un
armadio, fra i quali basti scegliere, tirando giù la
gruccia giusta». A questo siamo oggi, nel 2012! Ho
ricordato il recente passato solo perché si proietta
sull’oggi: siamo punto e a capo, con l’aggravante di una
crisi economica devastante e di uno stress politico che
ha costretto il Presidente della Repubblica a salvare il
salvabile (se potrà essere salvato) ricorrendo al
governo Monti. Reichlin chiede: «Perché la sola ipotesi
che il partito di Bersani possa vincere le prossime
elezioni sta creando tanta paura e tanta agitazione in
un certo mondo?».
Io invece dico: perché non dovrebbe crearne? E non penso
solo, come Alfredo, al Corriere ma anche all’ing. De
Benedetti che recentemente ha organizzato una
manifestazione di una sua associazione, «Libertà e
Giustizia», relatore Zagrebelsky, per dire che il loro
candidato non è Bersani. I grandi gruppi di potere fanno
il loro mestiere e hanno sempre cercato e cercano ancora
di avere in mano anche la partita politica o di
condizionarla. Il Cavaliere è stato battuto solo con
Prodi, anche se poi con i suoi Ulivi e le sue Unioni è
finita come sappiamo.
Il problema, a mio avviso, sta nel fato che la sinistra
italiana, per più motivi, non è stata in grado di
riorganizzare un grande partito nell’Italia di questo
secolo, come in tutti i Paesi europei, in grado di
candidarsi alla guida del Paese definendo la sua
autonomia e le sue alleanze. Il Pd è altra cosa. Non è
questa la sede per riaprire polemiche sul Pd, dato che
oggi è l’unica forza consistente alternativa alla
destra, ma il tema c’è tutto. L’antipolitica si combatte
e si vince con la politica: se prevale la prima vuol
dire che la seconda è debole. È su questo che bisogna
ragionare.
Articolo
di Emanuele Macaluso pubblicato sull'Unità del 15 aprile 2012
(16
aprile 2012) |