Responsabile

Leo Alati

SARCOFAGI E BIO-ROBOT

Corrado Alati

Dopo quasi 30 anni Chernobyl è ancora una delle più complesse sfide contemporanee. Non abbiamo ancora a disposizione la tecnologia elettronica adatta alla costruzione di robot capaci di resistere a radiazioni di 10.000 röntgens pari a 100 Sievert all’ora (il limite di legge per i lavoratori esposti in Italia è fissato a 20 millisievert all’anno) per la rimozione delle scorie radioattive dentro il vecchio sarcofago.  Il New Safe Confinement (NSC) è un’opera titanica alta 110 metri larga 257  in costruzione da un consorzio internazionale in cui spicca l’Italiana Cimolai, di Pordenone, responsabile per tonnellate di acciaio e la turca Okyanus per la fornitura di pannelli in lexan, una resina termoplastica di policarbonato refrattaria ai corpuscoli - per prevenire l'accumularsi di particelle radioattive. Il nuovo sarcofago è studiato per proteggerci per circa 100 anni e sembra destinato a essere oggetto di dibattito internazionale e intergenerazionale, una vera sfida per l’umanità.

Corium combustibile nucleare vivo e grumi di corium «è un una sostanza che ha l'apparenza della lava solidificata che si è formata quando il combustibile fuso si mescolò col metallo con cui veniva a contatto e con il pavimento di cemento su cui poggiava il reattore.

All’epoca del disastro vennero prese diverse decisioni affrettate dovute anche agli Incredibili silenzi delle autorità sovietiche che, con l’intento di minimizzare l’ incidente  hanno di fatto finito per aggravare la situazione. Si buttarono sul reattore milioni di litri d’acqua e nitrogeno liquido per mantenere il reattore freddo, che si credeva integro e nascosto dalle fiamme dal fumo nero: l’acqua toccando il nucleo fuso a più di 2.000 °C vaporizzava all’istante e saliva verso la stratosfera sotto forma di nubi di vapore che il vento trasportava ovunque. Furono inviati elicotteri il cui equipaggio pagò con la vita, oltretutto ottenendo scarsi risultati, per far cadere pacchi di sabbia e argilla mista a piombo sul reattore nel disperato tentativo di fermare la fuoriuscita di materiale radioattivo. Non erano tuttavia fatiche di Sisifo (nell’odissea il più astuto degli uomini che dopo una vita di trame e di insidie è condannato a trascinare un macigno lungo una collina per poi esserne travolto dunque ripetere lo sforzo in eterno) quelle dei tecnici e dei soldati che correvano nelle gallerie devastate gridandosi le letture dei contatori Geiger e dei cronometri per sfondare pareti, ricollegare tubazioni in turni di quaranta o sessanta secondi vicino alla sala delle turbine (quasi 200 Sv/ora), dei minatori e degli ingegneri che lavoravano nei tunnel sotterranei immersi in quell’acqua azzurro brillante per piazzare le tubazioni che permettessero di abbassare la temperatura del nucleo fuso e radiante a pochi metri di distanza.

Non erano sforzi vani quelli di lavoratori e architetti che lavoravano nei tunnel sotterranei per costruire il sarcofago tutt’intorno ripulendo le macerie furiosamente radioattive ed evacuando la popolazione.  I sovietici dapprima si sono assunti completamente la responsabilità del disastro con una moltitudine di azioni immediate spesso eroiche ma senza riportare sul piano internazionale una questione che coinvolge ancora oggi l’intera umanità.

Un passo fondamentale dei lavori di emergenza è stata quella di svuotare le piscine aprendo le valvole manualmente. Ma le valvole erano sott’acqua, nella piscina, vicino il fondo pieno di macerie altamente radioattive che la facevano brillare di color azzurro, proprio sotto il reattore che si fondeva emettendo un sinistro bagliore rosso giallastro. Alexei Ananenko e Valeriy Bezpalov erano importanti tecnologi dell’industria nucleare sovietica; il primo aveva partecipato alla costruzione della centrale di Chernobyl: cooperò al disegno delle saracinesche e sapeva dov’erano piazzate esattamente le valvole. Il secondo, Valeriy Bezpalov, era uno degli ingegneri che lavoravano nella centrale con un posto di responsabilità, era pure lui sposato, con una bambina e due bambini piccoli. I due ingegneri nucleari insieme a un giovane operaio della centrale Boris Baranov si offrirono volontari in modo eroico coscientemente, deliberatamente e ci piace ricordare i tre mentre celebrano la loro vittoria ridendo e abbracciandosi ai piedi del mostro, sul bordo della piscina.  La costruzione del nuovo sarcofago ci presta del tempo per trovare una soluzione affinché in futuro ci si riferisca ai “bio-robot” per evocare progressi  nei biomateriali, nelle bioprotesi, nell’intelligenza artificiale e mai più per persone protagoniste di un tanto eroico quanto necessario viaggio con biglietto di sola andata.

 

(29/4/2015)

 

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