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LE AZIENDE DI LOMELLINA, NOVARESE E VERCELLESE CEDONO ALL’INDUSTRIA DEL BIOGAS

Nella terra del “Riso amaro” ora cresce l’oro giallo dei Maya

Il triangolo del riso è contrassegnato da tre vertici: Vercelli-Novara-Pavia. Complici i prezzi in picchiata il mais lancia la sfida alla leadership del Carnaroli.

L’oro giallo dei Maya, il mahiz, più noto come mais, lancia la sfida alla leadership del riso nel tempio della risicoltura europea, quel «triangolo» altrettanto d’oro, contrassegnato da tre vertici: Vercelli-Novara-Pavia. Qui, nella patria di «Riso amaro», quel «mare a quadretti» che più di 150 anni fa intrappolò l’esercito austriaco al comando del generale Giulay e determinò la vittoria dei piemontesi nella seconda guerra d’indipendenza, nell’edizione 2012 si presenta un po’ più a macchia di leopardo. Tradotto in cifre: la risaia italiana non sarà più così omogenea, con la superficie più estesa d’Europa. Tutta colpa dei prezzi, ma anche delle agroenergie, che offrono agli agricoltori un’alternativa alla monocoltura. E la possibilità di fare reddito e salvare le aziende dalla crisi. Alla Borsa Risi di Vercelli, l’omologa di Piazza Affari per i risicoltori, le quotazioni delle varietà più vocate del made in Italy da parecchi mesi stagnano su livelli che gli imprenditori giudicano improponibili. Persino il «Carnaroli», principe della produzione italiana, non riesce a superare i 45 euro il quintale, facendo dimenticare le «performance» di appena un anno fa, quando il prezzo ha sfiorato i 60 euro. Ma anche le varietà da export, gli Indica, si attestano attorno ai 25-27 euro. «Non possiamo più lavorare in perdita - dice Giuseppe Ferraris di Novara, responsabile del settore riso di Confagricoltura sotto la soglia dei 30 euro per noi è default».

E allora? E allora ecco l’ancora di salvezza, il mais, utilizzato per il biogas. E’ la nuova frontiera delle aziende agricole, molte delle quali stanno gestendo in proprio gli impianti, altre cedono i terreni in affito alle industrie del settore, pacchetto tutto compreso e pagamento dei canoni in anticipo. Un affare, che mette al riparo dalle oscillazioni di prezzo e da costi di produzione, quelli del mais nettamente inferiori al riso.

Martin d’Autriche, diretto discendente del casato degli Asburgo (Francesco Giuseppe) è presidente dei Risicoltori europei. Uno che nella risicoltura ha investito molto, tanto da trasferirsi in Lomellina (Pavia), dove conduce una fattoria cerealicola con circa 300 ettari. «Ebbene - dice - anch’io sono stato costretto a diversificare per mantenere in vita l’azienda, le quotazioni del riso sono insufficienti a garantire il reddito e soprattutto le prospettive della futura Politica agricola comune non sono affatto incoraggianti, in quanto si prospetta un dimezzamento di quel sostegno necessario a colmare il divario fra i nostri costi di produzione e quelli dei risi provenienti dall’Oriente. E così 170 ettari di terreno li ho investiti a mais: con il prodotto ricavato alimento un impianto di biogas che produce energia e con questo sistema sopravvivo». Come lui la famiglia Garrione, che nella tenuta «Petiva» di San Germano Vercellese ha realizzato un impianto analogo.

Il mutamento dello scenario è maggiormente evidente in Lomellina, dove le terre sono più vocate anche alla coltivazione del granoturco. Ma anche nel Novarese e nel Vercellese l’attrattativa dei guadagni e della sicurezza dei redditi sta spingendo gli agricoltori a cedere alle lusinghe dell’antico cibo dei Maya.

Articolo di Gianfranco Quaglia pubblicato su La Stampa del 9/4/2012

(11 aprile 2012)

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