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Leo Alati

Il riso vercellese?
È in un kibbutz del deserto israeliano

Quando i chicchi prodotti nel mare a quadretti conquistano le vetrine internazionali più famose

Sorpresa: il sacchetto con la scritta verde scuro «Riso Arborio, il primo riso in Italia» e la sagoma del Principato di Lucedio compare come un miraggio su uno scaffale in legno del kibbutz più famoso del deserto del Negev, sud di Israele. La scoperta di una turista vercellese (con tanto di foto spedita a La Stampa) è eccezionale, ma fino a un certo punto: a migliaia di chilometri di distanza, qualunque sia il continente, il marchio più celebrato di riso non può che essere di qui.

 

 

Nelle vetrine internazionali prese d’assalto dai turisti è più facile rendersene conto. Eataly, quinta strada, New York. Nel cuore di Manhattan non c’è partita: dieci anni fa come oggi, nel reparto riservato ai primi piatti (anche se per gli americani non è altro che un contorno) accanto alle confezioni di pastasciutta si gioca un derby a tre. Protagoniste le etichette delle province italiane dove non si parla d’altro, ovvero Vercelli, e poi Novara e Pavia. Ma pur semi nascosti da specialità più familiari agli italo americani, i cereali di casa nostra destano curiosità. E quelli vercellesi di più: sono più numerosi, vincono ai punti. A Little Italy, invece, l’atmosfera è differente: negli store, i veneti e gli emiliani sono i più presenti. Dei piemontesi, quasi neanche l’ombra.  

 

 

Londra, grandi magazzini Harrod’s. Guadagnano la fermata metro di Knightsbridge turisti di tutto il mondo con borse di nylon zeppe di leccornie, ma il riso non è tra gli articoli più richiesti: eppure in un bancone d’angolo, accanto ai ben più popolari sacchi di iuta spagnoli, resistono i vercellesi e soltanto loro. Inutile chiedere «Do you know carnaroli?» alle hostess, perchè quelle al massimo indicano il basmati. E Parigi? Anche l’angolo gourmet delle Galeries Lafayette celebra il riso - a pochi metri dal vino Gattinara - come prodotto fin troppo esclusivo. Vercellese, questo sì. Va detto che certe vetrine non sono in cima ai pensieri dei produttori del mare a quadretti. Tutt’altro. Come non si sono scomposti quando Trump ha parlato per la prima volta dei dazi o quando la Brexit è diventata realtà. Perchè queste sono, citando un risicoltore, «nicchie e basta».

Articolo di Alessandro Ballesio pubblicato su La Stampa il 12/07/2017

(24/8/2017)

 

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