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Leo Alati

Raddoppia il numero delle famiglie in povertà assoluta: sono 1,5 milioni

Confcommercio: Questa recessione è peggiore della crisi del 1929

Una crisi economica così lunga e pesante come quella che abbiamo vissuto in Italia non ha solo colpito le aziende e il prodotto interno ma anche le famiglie: quelle classificate come indigenti assolute sono quasi raddoppiate, segnando un +78,5% dal 2007 al 2014.
I nuclei familiari in queste condizioni erano 823 mila nel 2007, un numero già alto, e sono cresciuti a quasi un milioni e 500 mila nel 2014; la loro quota sul totale delle famiglie italiane è a sua volta schizzata dal 3,5% di prima della recessione al 5,7% del 2014.
Lo rileva l’Ufficio studi della Confcommercio.
Dice un rapporto che i singoli individui in condizione di povertà nel 2014 hanno superato i 4 milioni, +130% rispetto al 2007, arrivando a sfiorare il 7% della popolazione.
Nei sette anni di recessione, il reddito disponibile della famiglie (in termini di potere d’acquisto ai prezzi del 2015) si è ridotto del 10% e anche di più.
«Questa a cavallo dei primi due decenni del XXI secolo - scrive la Confcommercio - rappresenta la seconda recessione per gravità nella storia nazionale dalla proclamazione del Regno d’Italia»: infatti le cose sono andate peggio in questi ultimi anni che nella prima guerra mondiale e nella crisi del 1929. Il Pil reale per abitante nel 2015 è regredito al 1996: «È come se le famiglie italiane avessero spostato indietro di un ventennio l’orologio del tenore di vita».
La caduta di Pil e investimenti si è riflessa sul lavoro.
Fra il 2007 e il 2014 sono andati persi un milione e 800 mila posti in totale. Sono cambiati anche i modelli di consumo: le famiglie hanno tagliato persino la spesa alimentare, contrattasi di oltre il 12%.
Sacrifici più pesanti nell’acquisto dei beni durevoli: -25%.
Tuttavia «in questa prima parte del 2016 sembrano rafforzarsi i segnali di ripresa» dice la Confcommercio.
Ma non c’è da stappare bottiglie di champagne: il ritmo di crescita della nostra economia resta lento, soprattutto se confrontato con la crescita congiunturale della Germania (+0,7%).
La Confcommercio fa un confronto sfavorevole con i tedeschi anche per quanto riguarda la pressione fiscale a carico di imprese e delle famiglie.
«Se l’Italia avesse avuto la stessa pressione fiscale della Germania nel 2014 - è il calcolo dell’Ufficio studi - ci sarebbero stati 66 miliardi di euro in meno di prelievo fiscale, vale a dire 23 miliardi in meno di Irpef e altrettanti di imposte indirette, e 20 miliardi in meno di carico contributivo su imprese e lavoratori»
Da notare che l’eccesso di carico fiscale in Italia si associa all’incapacità di tagliare sul serio la spesa pubblica, almeno secondo la Confcommercio. La ricerca dice che «finora gli unici tagli hanno riguardato la spesa in conto capitale, cioè gli investimenti pubblici».
Invece tutte le componenti di spesa corrente derivanti da scelte discrezionali sono in crescita fra il 2015 e il 2017, anche se «con incrementi leggermente inferiori a quelli del Pil nominale».

Articolo di Luigi Grassia pubblicato su “La Stampa”) il 13 giugno 2016

 

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