Responsabile

Leo Alati

 

 

 

La Risaia

 

 

Mensile dei riformisti vercellesi

Quattro passi

Chissà perché quel giorno.

A prima vista, era un giorno come tanti, con un sole smorto a rischiarare il sottile drappo di nebbia che saliva adagio, dal fondo delle colline.

Eppure si era ritrovato a camminare adagio, sulla strada sottile che tagliava le vigne e si perdeva lontano, laggiù dove cominciava il tramonto.

Era partito presto, un passo dopo l’altro, un pensiero dopo l’altro, un respiro dopo l’altro.

Ogni tanto si fermava, ad osservare la processione di pioppi, lontani, sulla pianura, dove il fiume sembrava una serpe d’argento persa fra il verde.

Chissà perché quel giorno.

Forse non esistevano giorni particolari per iniziare un viaggio, o forse si, non sapeva rispondere, ma di sicuro sapeva che quel giorno, ne aveva intrapreso uno difficile.

“Esco a fare quattro passi.” Aveva detto alla moglie, intenta a curare un grande glicine fiorito.

“Non fare tardi.”.

La strada ora curvava verso altre vigne, altri poderi, dove l’autunno ancora non era arrivato e i grappoli pieni aspettavano altro sole.

Erano anni che non percorreva più quella strada; d’improvviso gli sembrarono troppi, troppi come i fili d’argento che nascevano numerosi ogni giorno, sulla sua barba e sui suoi radi capelli.

Gli tornarono in mente i viaggi che aveva fatto, in ogni parte del mondo, per lavoro o per divertimento, ma quel paesaggio di fine estate e quella terra dolce, ora gli sembravano il luogo più lontano del mondo.

Ancora una curva e la casa apparve, sempre la stessa, come riaffiorava dai suoi ricordi.

Anche quando cercava di allontanarli e quelli tornavano, senza avvisarlo.

Si ritrovò a pensare a come aveva cercato di schiacciare quelle emozioni per troppi, troppi giorni.

Ecco la facciata a mattoni, la piccola recinzione di legno, colorata di un giallo vivace, ed il camino col gallo di ferro, a far da banderuola ad un vento assente.

Ancora pochi passi, soltanto quattro, e sarebbe arrivato.

Si fermò, ad osservare il digradare dei colli ed il colore del cielo, un azzurro chiaro che il sole screziava di rosa.

 Avrebbe voluto tornare indietro, cancellare quel viaggio, cancellare quel giorno.

Proseguì, un passo dopo l’altro.

Mai viaggio gli era parso così difficile, mai il cammino così impervio.

Ed ancora i ricordi tornarono, crudeli ed insopprimibili.

Un giorno come tanti, lontano nel tempo, un giorno che ancora non era estate ed una lite dura, senza ritorno.

Un volgere di spalle, una valigia con poche cose e davanti un lungo percorso, lungo come la vita.

Erano passati soli e lune, stagioni buone e giorni di pioggia e vento;  aveva guardato altre albe e altri tramonti, prima di tornare lì, dove le strade si perdevano fra i grappoli e la polvere delle strade, a sera, si macchiava di crepuscolo.

Da poco occupava la casa nuova, con la sua compagna di sempre; una casa nuova a quattro passi da quella che, ora, era affiorata fra il verde.

Strano, come il cerchio a volte si chiuda e come, dopo mille altri passi, era tornato lì.

Ma la strada breve che separava le due case, la vecchia e la nuova, gli era sembrata un cammino insuperabile, un percorso troppo lungo.

Aveva sempre rifiutato di percorrerlo.

Fino a quel giorno, chissà perché quel giorno.

Si fermò, ad osservare un gatto pigro che dormiva sul muretto di mattoni rossi, un gatto bianco e nero, come quello che aveva lui, tante stagioni prima; o forse era proprio quello, in una delle sue ultime nove vite.

Il silenzio era appena screpolato dal cigolare di un’altalena nel giardino ben curato.

Lui non ne aveva mai avuta una.

Notò le imposte verniciate di fresco ed un profumo di caffè che si confondeva con la fragranza dei fiori nell’aria umida.

Sapeva di dover tornare indietro, sapeva di dover volgere il passo verso la sua vita; lì non c’era più nulla per lui, quella non era più la sua mèta, la sua scelta era stata diversa e non la rimpiangeva.

“Ancora quattro passi e torno.”

Ora era davanti all’ingresso, una bella porta nuova che cominciava dove finiva la recinzione.

Udì un sussurro ed una voce di bimbo.

Appoggiò il dito sul campanello e premette il pulsante d’ottone lucido.

“Chi è?” Una voce di donna, fresca, gentile e sconosciuta.

Ma non fu la voce che udì.

Era stato un viaggio lungo, difficile, quattro passi soltanto.

“Sono io, tuo figlio, papà.”.

 

Racconto inedito di Silvano Nuvolone

(30 luglio 2012)

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