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RAGIONI ED ERRORI DI UNA STAGIONE

Il profondo Nord, illusione perduta

La crisi della Lega (e del berlusconismo) dimostra che serve un progetto nazionale non solo basati su interessi di parte

Dopo Berlusconi, Bossi; dopo la crisi del Pdl, quella della Lega: con gli avvenimenti di questi giorni si sta forse consumando definitivamente nella politica italiana quel ruolo centrale del Nord - lo definirei il Nord «ideologico», quello animato da un antico desiderio di rivincita e di primato, di cui per esempio il Piemonte non ha mai fatto parte - che, tra gli anni Ottanta e i Novanta del secolo scorso, mise alle corde la Prima Repubblica e poi cercò di ereditarne le sorti. È un ruolo che si chiude in modo fallimentare. In venti anni, infatti, quella che si presentava e per molti aspetti era un'iniziativa ambiziosa dal segno fortemente settentrionale - Lega/Forza Italia - non è riuscita ad aprire alcuna fase realmente nuova nella vita del Paese (tanto meno dal punto di vista economico), né a riformarne in meglio le istituzioni (il naufragio del cosiddetto federalismo è ormai sotto gli occhi di tutti) né a dar vita a una nuova età politica.

 

In un senso profondo, insomma, il Nord, quel Nord, non è riuscito a governare l'Italia. Non c'è riuscito soprattutto perché non è riuscito a unificarla politicamente. Non è stato capace, cioè, di imitare l'esempio della Democrazia cristiana, alla quale per un quarantennio, invece, riuscì di tenere insieme le roccaforti del cattolicesimo lombardo-veneto con il voto popolar-conservatore del Mezzogiorno. In circostanze storiche forse irripetibili, questo è vero. Ma è anche vero che il blocco partitico settentrionale non sembra aver mai compreso davvero che un Paese come il nostro, al proprio interno così vario e contraddittorio, non può essere guidato facendo leva esclusivamente su una sua parte. A meno che questa non s'impegni con successo in un'opera decisa di amalgama e di integrazione. Non ha compreso che da un secolo e mezzo, piaccia o non piaccia, in Italia è come se di continuo ogni governo dovesse ripercorrere l'impresa dell'Unità, dovesse ogni volta, per un certo verso, ricominciare dal 1860-61.

Un'impresa che però, per andare a buon fine, ha bisogno, come si capisce, di un elemento egemonico decisivo: di poggiare su un progetto politico nazionale, di essere animata da un'ispirazione forte e autentica. Il partito settentrionale ha invece creduto che per avere dalla propria il resto del Paese bastasse una pura sommatoria elettorale con la vecchia tradizione missino-corporativa (alleanza, peraltro, entrata quasi subito in fibrillazione) da un lato e dall'altro con nuclei più o meno consistenti di notabilato e/o di politicantismo centro-meridionali. Ma così ancora una volta il Nord, quel Nord che ho definito sopra «ideologico», ha dimostrato la sua antica, direi storica, difficoltà a fare politica, la sua incapacità a rappresentare un soggetto politico all'altezza dei suoi propositi.

Difficoltà e incapacità che hanno una sola origine: l'idea, condivisa tanto dalla Lega che dal berlusconismo, che al dunque la politica possa essere, e di fatto sia, solo rappresentanza di interessi (inclusi quelli di coloro che la fanno...), e nulla più. Non già, come invece è, visione generale, indicazione di traguardi collettivi e di strumenti adeguati, impulso autonomo mosso da valori, e su queste basi, poi, ma solo poi, anche mediazione creativa tra esigenze diverse. Le conseguenze? Nessuna o poca idea di nazione e di Stato, scarsa etica pubblica, noncuranza per le regole; e, come non bastasse, una leadership sempre incerta tra virulenza da capataz e un molto casalingo tirare a campare. I risultati li abbiamo visti.

Articolo di Ernesto Galli della Loggia pubblicato sul Corriere della Sera l'8/4/2012

(9 aprile 2012)

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