Responsabile

Leo Alati

Il prezzo del grano in Italia? È fermo a trent’anni fa. Ma il pane dal fornaio costa il 1450% in più

Pochi controlli, legislazione carente, speculazione, import selvaggio. Da Alessandria (che con Bologna è la provincia che ne produce di più) parte la “battaglia del grano”

Il presidente della Coldiretti di Alessandria Roberto Paravidino durante la conferenza stampa di ieri assieme ad alcuni produttori di grano che hanno anche ruoli direttivi nell’associazione agricola dei coltivatori

 

Il prezzo del grano? Come trent’anni fa, 14 euro al quintale. Ma il consumatore non se ne accorge, anzi: il pane costa il 1450% in più, insomma ci vogliono trenta chili di grano per arrivare alla quotazione di un chilo di pane. Questa la situazione denunciata ieri in Coldiretti Alessandria, dal presidente provinciale Roberto Paravidino: «Nonostante la buona annata, con qualità e rese maggiori del 2015, i prezzi spuntati dai produttori non coprono più i costi e spingono alla chiusura delle aziende agricole». Il dossier lo porta martedì a Roma, alla Coldiretti nazionale, dove si decideranno azioni di protesta e pressione come quelle sul prezzo del latte. La «battaglia del grano» Coldiretti ha deciso di iniziarla qui perché quella di Alessandria è, insieme a Bologna, la provincia con la maggior produzione italiana di grano tenero (pane e biscotti). Se ne coltivano 33 mila ettari e poiché la resa 2016 si dovrebbe attestare sui 65/70 quintali a ettaro (contro i 50 del 2015) scorso, si superano i 2 milioni di quintali. A livello nazionale gli ettari coltivati sono 600 mila per 30 milioni di quintali. Se invece si passa al grano duro, quello per la pasta, coltivato soprattutto nelle regioni meridionali, gli ettari sono 1,3 milioni e i quintali 49 milioni. 

 

Più controlli nei porti

Tanti? No, pochi se si pensa che importiamo 23 milioni di quintali di grano duro e ben 48 di quello tenero: gli arrivi dall’Ucraina sono quadruplicati, raddoppiati dalla Turchia. Del resto la pasta è la terza voce del nostro export commerciale (vale 2,4 miliardi di euro all’anno), mentre di prodotti da forno ne esportiamo per 1,7 miliardi. A fronte di tutte queste cifre da capogiro e i crescita percentuale, resta quella misera del prezzo pagato ai coltivatori, che fra l’altro è crollato nell’ultimo periodo del 26%. «Va bene la globalizzazione - dice Paravidino - ma qui ci confrontiamo con concorrenti che non hanno i nostri obblighi fiscali e soprattutto sanitari». Sì, ci sono controlli campione nei porti, ma - lascia capire - non è che facciano da seria barriera. 

 

Il ruolo della speculazione

E poi la speculazione: il grano si può stoccare anche per due o tre anni e quindi immetterlo sui mercati a seconda delle quotazioni. Un giochetto che riesce molto bene alle «5 sorelle» dei cereali (il colosso Usa, Adm; la Cargill di Minneapolis; i franco-statunitensi della Louis Dreyfus; gli argentini della Bunge Y Borne e gli aggressivi svizzeri della Glencore) con speculazioni finanziarie che rischiano di mettere in ginocchio l’agricoltura «reale». 

 

Che si mette nel piatto?

C’è anche un problema di tracciabilità: «Il consumatore deve poter scegliere - dice Paravidino - per questo chiediamo, oltre al rafforzamento dei controlli sul grano importato, anche l’etichettatura trasparente per i prodotti da forno, pane e pasta». Quanti vedono il simbolo del tricolore e pensano di mangiare «italiano», quando invece la farina arriva magari da Kiev?» 

 

Blocco delle quotazioni

Anche Confagricoltura è pronta a scendere in campo. Il presidente Luca Brondello di Brondelli annuncia per domani il blocco delle quotazioni alla Borsa grani di Alessandria: «Sono valori derivati dalla media di quelle di Milano, il martedì, e Bologna, il giovedì. Tolto ovviamente il trasporto. L’iniziativa vuole dare un segnale ai mercati sulla gravità della situazione. Così non si va più avanti».

Articolo di Piero Bottino pubblicato su La Stampa il 17 luglio 2016

 

© 2012 La Risaia   La voce dei riformisti vercellesi

Webmaster & Design by Francesco Alati

Home