Responsabile

Leo Alati

Passi lontani

Racconto di Silvano Nuvolone

La strada per la Val Soana è sempre lì, un serpente scuro che attraversa grappoli infiniti di verde e sembra non finire mai, suddito dignitoso di una montagna al confine col Paradiso.

Quella strada è anche sempre uguale, così pensa nonno Vittorio, seduto sul sedile anteriore dell'auto nuova del figlio, mentre dietro, accoccolato accanto a mamma Florence,  Francoise, il nipotino di otto anni, guarda attento il panorama che scorre dietro il finestrino; sempre uguale a quella che, una manciata pesante d'anni prima Vittorio percorse a ritroso, in cerca di un nuovo destino.

Nessun capello bianco in quel tempo, soltanto muscoli scattanti e una voglia di cambiamento, di riscatto; la voglia di cercare una vita nuova e tanta forza per viverla.

<<Perché vuoi partire?  I camini non finiranno mai>> Aveva detto suo padre, un passato faticoso di spazzacamino, spaciafurnel e calderaio di professione.

Aveva torto.

I camini erano finiti in fretta e lui, Vittorio, Rino d'la Val, come lo chiamavano tutti, era stato fortunato ad essere andato via, lontano da quei luoghi miseri, dove il poco guadagnato bastava appena per vivere e qualche volta neppure a tanto.

In Francia aveva fatto fortuna come vetraio, si era sposato e non era più tornato lì, in quella terra che ricordava avara e dura, modellata così vicina al cielo da prenderne, a volte, il colore ed il profumo.

<< Siamo quasi arrivati, papà?>> Domandò Francoise in francese.

Il piccolo non parlava italiano, mentre lo conosceva un poco Antoine, il figlio di Vittorio.

Anche mamma Florence parlava soltanto francese.

Era la prima volta che li portava a vedere la sua terra.

Non sempre si amano i ricordi, non tutti.

Vittorio si voltò  a sorridere al nipote, una testa accesa di capelli chiari e due occhi vispi, come sanno essere soltanto quelli dei ragazzi.

<< Pazienza. Siamo quasi ad Ingria. Guarda, ora arriva il sole.>> Rispose, in quel suo francese strano, imparato su strade e piazze, quando bisognava arrangiarsi e non c'erano scuole o aggeggi elettronici ad aiutarti.

Era ormai pieno mattino, ed un sole prepotente feriva a strali il verde degli alberi, saettando su tratti di strada.

Non c'era il sole, quando Vittorio era partito.

Ricordava soltanto una pioggia insistente e fredda, che lo aveva accompagnato per molte ore; una pioggia che entrava nell'anima, una pioggia che apriva i dubbi e faceva dimenticare le speranze, una pioggia che premeva sul cuore e lo stringeva di timori.

Anche quel tempo era passato ed ora gli sembrava una nebbia, o una nuvola bassa, che tutto nasconde, che ammorbidisce e vela i contorni.

Una nebbia che fa dimenticare.

Le poche case di Ingria passano adagio, il piccolo centro nascosto più in alto, un labirinto di case di pietra raggomitolate ad un passo dal blu.

Poche curve ed ecco che il torrente si fa più vicino, con quell'acqua gelida di neve che salta e schiuma sui muschi e le rocce, con quel rumore insistente e nello stesso tempo lieto.

<< Siamo a Ronco. Ora ci fermiamo.>>

L'auto con targa francese si ferma sulla piazza, ingombra dei gitanti della domenica; gruppi colorati con zaini e borracce, pronti a passeggiare sui sentieri.

Vittorio scende ed alza gli occhi, a cercare la piccola frazione dov'era vissuto.

Entrano in un bar, a consumare un cappuccino italiano e prenotano il pranzo.

Mancano poco più di due ore al mezzodì, tutto il tempo per una  breve passeggiata.

<< Vuoi andare su?>> Domanda Antoine, che ben conosce lo sguardo del padre.

<< Dove andate? Vengo anch'io>>  Quasi urla il ragazzino, mentre Florence preferisce aspettarli, seduta al sole, che nel frattempo si è fatto vivace.

Ed eccoli sul sentiero; il nipotino davanti, fermo ad ogni roccia, a guardare un fiore, ad inseguire grosse lucertole, domandando d'ogni cosa, poi Antoine, a controllare i passi del figlio, ed infine il vecchio, col suo bastone da città, a cercare ricordi.

Arrivano presto, arrancando sulla via ripida ed ingombra di pietre cadute ed erba alta.

Poche baite disabitate ed in rovina, dove il vento passa soffiando fra le finestre, occhiaie vuote che guardano a valle; vento che a volte sembra persino canzone, o ululato di lupi.

Molta pioggia fa non era così.

Uomini, donne e ragazzi al lavoro, sulle erte ripide, a tagliare e portare legna, ed il profumo dei foraggi, del latte, del fumo di carbone e il formaggio che cagliava nei paioli.

Fatica, sudore, tutto per poco, appena per una vita.

Una fontanella ancora butta acqua da una cannella di ferro.

Il ragazzino e Antoine bevono lunghi sorsi, Vittorio appena un cavo di mano.

<< Non c'è niente qui, nonno.>>

<< E' vero. Non c'è più nulla qui.>>

<< Dicono che sono tornati i lupi ed anche le aquile>> Interviene Antoine.

<< Forse è vero. Alcune volte, quando gli uomini se ne vanno, gli animali ritornano.>>

Scendono sulla piazza, dove Florence li aspetta, la pelle chiara già brunita dal sole alto.

Sul ponte nuovo, ricostruito dopo l'alluvione, ragazzi si inseguono gridando, il torrente pochi passi sotto, danza tranquillo fra le pietre.

<< E' presto per il pranzo, venite, andiamo a vedere la vecchia fucina, vedrete vi piacerà. Sono sicuro che nessuno di voi ha mai visto un luogo come quello..>>

Pochi minuti di marcia, sulla strada principale e poi via, attraverso un sentiero che taglia fra i campi ed attraversa di nuovo il Soana, che si fa strada più in basso, scavando gole fra enormi rocce.

Sul piccolo ponte, l'acqua in basso fa quasi paura, con gli spruzzi bianchi che ricordano le onde del mare, solo più piccole.

La fucina si apre su di un prato brillante, dove una parte del torrente è stato imbrigliato per far funzionare i magli.

Francoise ascolta a bocca aperta il nonno, che descrive quel luogo come un antro diabolico.

<< Il rosso della forgia, sempre accesa, il fumo denso ed il rumore incessante dei magli che battevano e le urla degli uomini.>>

Questo ricordava Vittorio, di quella grande officina, dove si costruivano paioli e si lavorava il metallo.

Ancora sudore, ancora lavoro.

Ora anche qui, silenzio.

I magli sembrano giganti dormienti, fra le pareti annerite ed un pavimento di sassi.

Anche il mulino è fermo, ad aspettare acqua nuova mentre il legno della ruota comincia a tornare terra.

Sulla strada verso il paese, Vittorio guarda il cimitero, alto sul crinale. Suo padre riposa lassù, ma oggi non andrà a trovarlo, magari un altro giorno, un'altra pioggia.

Le campane di Ronco suonano il mezzodì.

Arrivano sulla piazza, dove i gitanti tornati dalle passeggiate fanno comunelle chiassose; alcuni aprono cestini, altri entrano nel negozio di alimentari ad improvvisare un pranzo.

Dalla via che porta alla chiesa scende qualche donna anziana, al ritorno dalla messa.

E ricordi, che scendono goccia dopo goccia, leggeri e grevi nello stesso tempo.

Si aspettavano le ragazze all'uscita dalla chiesa ed allora bastava uno sguardo, un sorriso abbozzato sotto il fazzoletto scuro che copriva loro il capo, per sognare.

Questo si poteva fare, la sera fuori la baita, mentre si coglieva l'ultima luce del giorno o la notte, nel tepore della stalla. Questo di poteva fare, sognare.

In questo giorno di festa il ristorante è quasi pieno, il cameriere è gentile e le tovaglie che coprono i tavoli sono d'un bianco candido.

 

Silvano Nuvolone

Vittorio guarda il nipotino che mangia di gusto. Mocetta, prosciutto crudo, lardo; tutti prodotti della Valle Soana, e poi un piatto di polenta condita con la toma stagionata ed un invitante spezzatino di cinghiale.

<< Si mangia bene in Italia>> dice Florence al cameriere, in francese.

Lui le risponde nella sua lingua, che conosce bene.

Francesi in gita pensa, portando via le stoviglie sporche.

Vittorio non ha parlato.

Guarda la sua famiglia e suo nipote. Per loro tutto è una favola, stentano a vedere quei luoghi con altri occhi, non vedono le genti numerose nei borghi, non sentono le  voci, non si accendono gli occhi alle loro risate.

E' giusto; quel tempo non può essere altro che il suo, loro hanno diritto ad altri mattini.

 Ora osserva il verde dalla grande finestra che si apre sul torrente e ritornano le parole di suo padre: << Perché vuoi partire? I camini non finiranno mai.>>

Aveva proprio torto?

I focolari restano nel cuore, non finiscono ma si ascoltano, come passi lontani in un giorno di pioggia.

 

8 febbraio 2018

 

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