Ma anche D'Ambrosio non poteva non
sapere?
Mauro Del Bue
Piovono le rivelazioni, si moltiplicano le dichiarazioni e si
rispolverano i ricordi a proposito
dell’intervista, pubblicata post mortem, dall’ex
ambasciatore americano in Italia Bartholomew,
alla quale si è poi aggiunta quella dell’ex
console americano a Milano Semler, pubblicate
entrambe da “La Stampa”.
Tre sconcertanti novità emergono. La prima è che
Bartholomew abbia convocato, per denunciare le
persistenti violazioni dei diritti civili in
Italia (attraverso l’improprio uso del carcere
preventivo a fini di confessione) alcuni
magistrati nel suo ufficio, assieme ad Antonio
Scalia, giudice della Corte suprema. In
quell’incontro si convenne che in Italia si
stavano calpestando “i diritti basilari degli
imputati” nonché “i principi basilari del
diritto anglosassone”. Non è dato sapere che
fine fece quella denuncia, della quale nulla
emerse pubblicamente. Questa posizione
l’ambasciatore americano prese anche per
equilibrare la posizione assunta dal console
americano che era di completo appoggio
all’azione di Di Pietro e seguiva un
orientamento Dell amministrazione e Clinton di
mutare la posizione degli Usa, che fino al 1993
era di totale appoggio a un cambio di sistema in
Italia.
D'altronde, che la politica giudicata
eccessivamente filo araba di Andreotti e Craxi,
nonché le vicende di Sigonella e della mancata
concessione delle basi militari per bombardare
la Libia, fossero più che mai presenti dopo la
caduta del muro e la fine del comunismo, era
perfino logico aspettarselo. Era ovvio che anche
l'Italia era destinata a cambiare dopo il 1989,
e non vedo come possa stupirsene Gianni De
Michelis che la situazione internazionale doveva
conoscere assai bene.
Cadevano le tradizionali contrapposizioni e
anche un alleato strategico come il nostro Paese
cessava di essere in qualche misura protetto e
garantito nella sua stabilità e continuità
politica. E questo, a mio giudizio, risulta
essere l'errore politico del gruppo dirigente
del PSI di allora, che non percepì la nuova
situazione o, se la percepì, non volle o non
Apple trarne le logiche conseguenze.
Così viene disvelata la seconda e ancor più
sconcertante novità. E cioè che Semler ricevesse
nel suo ufficio Di Pietro per periodici faccia a
faccia.
La cosa era evidentemente sconosciuta ad altri
magistrati anche dello stesso Pool. Tanto che
Gerardo D’Ambrosio se ne stupisce e afferma che
se l’avesse saputo allora si sarebbe alquanto
arrabbiato col piemme, simbolo di quella
stagione. La terza e altrettanto sconcertante
novità scaturisce da un ricordo di Semler
riferito all’autunno del 1991 (l’arresto di
Chiesa è del marzo del 1992).
In quell’occasione Di Pietro rivelò al console
americano che Craxi e la Dc sarebbero stati
distrutti dalle inchieste. Dunque con cinque
mesi di anticipo sul primo arresto, non solo
violando il segreto istruttorio (come era, e
purtroppo è tuttora, prassi consolidata), ma
anche anticipando le conclusioni delle indagini,
quasi fossero state già scrittte.
L’unica conclusione, che mi pare per ora giusto
trarre, sta nelle stesse affermazioni di
D’Ambrosio. Poteva un Pool (cioè una sorta di
aggregazione di magistrati che dovevano
concertare le loro iniziative) avere al suo
interno un magistrato che teneva un segreto di
questa portata, riferito a rapporti con un
rappresentante di una nazione straniera, anche
se alleata? Evidentemente si trattava di un
segreto importante e forse decisivo, altrimenti
non sarebbe stato così gelosamente custodito.
Non doveva valere infatti anche per i magistrati
del Pool il teorema del “non potevano non
sapere?”.
martedì 4 settembre 2012 - Avanti!
della domenica
(13 settembre 2012) |