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Leo Alati

Il naufragio Lampedusa ed  i media, una tragedia “senza nome”

È passata ormai una settimana, da quando il natante affondato al largo dell’isola dei conigli ha trascinato sul fondo del mare parte del suo carico umano, più di trecento sono le vittime, il più grave naufragio dal dopo guerra ad oggi.

Roberto Gianusso

È passata ormai una settimana, da quando il natante affondato al largo dell’isola dei conigli ha trascinato sul fondo del mare parte del suo carico umano, più di trecento sono le vittime, il più grave naufragio dal dopo guerra ad oggi. Si parla di grave sciagura, perché l’elevato numero delle vittime condiziona l’opinione pubblica, ma non dobbiamo dimenticarci che ogni anno il canale di Sicilia diventa la tomba di diverse centinaia di persone che perdono la vita, in fuga dall’Africa, dirette nel nostro paese. Qualcuno è riuscito ad interrogarsi  sul nome da dare a quanto è successo a Lampedusa. “Tragedia”,  anzi “strage”,  piuttosto “omicidio”.  “Omicidio”, quest’ultimo termine,  forse è il più appropriato, perché vi sono, e noi li conosciamo bene  i mandanti. E’ stato giusto ed importante che molti avessero non solo la voglia di indignarsi, ma anche la lucidità per voler capire, analizzare, indicare responsabilità e responsabili, perché è doveroso, malgrado l’orrore, ricordare che il destino c’entra solo in parte.

Che c’entrano le leggi come la Bossi-Fini, ancora lì dopo dieci anni di danni umani, sociali, economici , c’entrano le politiche europee,  volutamente disomogenee, se si tratta di concedere asilo politico, ma cinicamente concordi nel sostenere e finanziare Frontex, l’agenzia intergovernativa incaricata non solo di pattugliare militarmente le frontiere, ma anche di “delocalizzare” controlli e restrizioni . C’entrano gli accordi bilaterali tra l’Italia e i paesi del Sud del Mediterraneo, c’entra il cosiddetto “razzismo istituzionale”, ovvero  l’incapacità delle istituzioni di gestire con flessibilità e umanità fenomeni complessi, globali e non reversibili come quelli migratori.

Io non sono riuscito, ad interrogarmi sul “nome”, per incapacità mia, senza dubbio, non sono riuscito a trovare le parole per interrogarmi lucidamente su ciò che è successo, che purtroppo temo accadrà ancora. Le parole non mi servono ed allo stesso tempo non mi bastano, mi sembrano tutte vuote ed allo stesso tempo tutte pleonastiche. Non sono quindi riuscito a trovare parole adeguate per comprendere, ammesso che si possa  comprendere ciò che è  accaduto, riformulare ciò che ho letto ed  esprimere ciò che ho  provato. Poi mi sono chiesto se la mia temporanea  afasia  e quel senso di impotenza, non fossero dovuti anche  al problema del “nome”. Ma non il “nome” per dire ciò che è successo, il nome per connotare gli eventi.

Ecco, che per dare davvero un senso a questa giornata di lutto nazionale, mi piacerebbe che insieme alle analisi, sui media, ci fossero gli elenchi  di nomi, cognomi, date e luoghi di nascita. Perché quei morti non rimangano ignoti, indistinti, anonimi, massa nella massa, numeri destinati a fare media per qualche statistica. Perché quegli elenchi ci facciano immaginare volti, voci, vite,  vite ognuna diversa dall’altra, ognuna  col suo funerale, coi suoi pianti, col suo vuoto, fino a pochi giorni fa  i suoi legami, con i suoi drammi, con le sue storie, con le sue speranze, forse in questo modo, cominceremo ad interessarci a quei corpi anche da vivi e non soltanto da morti.

L’Europa, che fa la morale all’Italia per lo sfondamento di un parametro economico o la dimensione non regolamentare della verdura esportata, tratta Lampedusa come se fosse una provincia romana anziché l’avamposto di un continente. Se veramente siamo tutti europei, che qualche altro stato ci aiuti ad accogliere questi corpi viventi, che non abbandonano il loro paese perché non gli piace il paesaggio, lo fanno quasi sempre per scampare a carestie, guerra o peggio ancora persecuzioni, lo fanno portando con se le loro mogli ed i loro figli. Per questo, da europei, tutti insieme cerchiamo di accoglierli come esseri umani che vengono in Europa, portando con se la loro energia e non come corpi viventi. Ma iniziative simili richiedono un cuore e una testa, non solo un apparato lacrimatorio da sepolcri imbiancati, richiedono una visione politica, che nell’Europa dei paurosi sembra sia naufragata.

(8 ottobre 2013)

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