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Leo Alati

 

 

 

La Risaia

 

 

Mensile dei riformisti vercellesi

Mafia e Unità d'Italia.

di Pino Macrì

Il giudice Rocco ChinniciLa pervicacia con cui si insiste nell'affrontare un problema così serio, radicato, profondo, drammatico, quale è il fenomeno mafioso in Sicilia e nel meridione in generale con strumenti al limite del pressappochismo, comincia a dare noia.

Nella speranza che, almeno, non concorra anche a creare ulteriori danni, nell'aizzare i più a identificare nella tanto odiata (non da tutti, si spera) Unità d'Italia l'origine di tutti i mali del Mezzogiorno.

Non basta, infatti, tirare per la giacca dei miti positivi, quali il giudice Chinnici, estrapolando frasi che, probabilmente erano riconducibili, e riconducevano, a contesti affatto diversi. A meno che lo stesso Chinnici non abbia preso cantonate. Non essendo, però, egli più in vita, e non potendo chiarire il senso di quelle parole, preferirei non tirarlo in ballo, e far parlare, possibilmente, solo i fatti. Che non possono prescindere da una breve ricerca storica che chiunque (sempre che lo voglia, o che almeno, abbia il coraggio di mettere in discussione le proprie "certezze" PRIMA di sparare ad alzo zero contro qualcosa che, evidentemente, non conosce bene) può fare anche senza andare per polverose biblioteche e Archivi di Stato, ma semplicemente  perdendo un po' di tempo su "Google libri", dove, comodamente, può leggersi qualcuna delle edizioni del "Codice delle leggi per lo Regno delle Due Sicilie".

Scoprirebbe allora che, limitandosi al solo periodo 1816-1834 (per non farla troppo lunga), in materia di lotta alla "criminalità" nel Regno furono emanate le seguenti disposizioni legislative:

  • 1816:

-   d. 22 aprile: Provvedimenti energici per l'esterminio de' fuorbanditi nelle Calabrie, in Basilicata, in Molise ed in Capitanata.

-   d. 29 maggio: I provvedimenti medesimi sono estesi a tutte le altre provincie infestate da malfattori.

-   L. 6 agosto: Convenzione conchiusa con la S. Sede sulla persecuzione de' malviventi che infestano i rispettivi confinanti Domini.

-   d. 18 novembre: I [sic!] scorridori di campagna armati sono giudicati dalla commessione militare e condannati a morte.

  • 1817:    

-   d. 6 febbraio: Istruzioni per i comandanti gen. delle divisioni militari intorno alla persecuzione dei malviventi.

-   d. 8 marzo: Approvazione di una circolare relativa alle istruzioni sulla persecuzione dei malviventi.

-   d. 13 maggio: Le disposizioni del decr. de' 18 nov. 1816 contro gli scorridori di campagna rimangono in vigore a tutto l'anno 1817.

-   d. 17 luglio: Conferma delle commessioni incaricate della formazione delle liste di fuorbando in questa parte del regno.

-   d. 18 Novembre: Novelle disposizioni intorno alle liste di fuorbando ed alla competenza delle commessioni militari.

  • 1818:    

-   L. 6 agosto: Convenzione conchiusa con la S. Sede per effetto della quale le forze pontificie e napolitane possono a vicenda passare dall'uno all'altro territorio per inseguire ed arrestare i malviventi.

  • 1820:       

-   d. 7 marzo: Destinazione del tenente gen. Amato a commessario del Re coll'alter-ego per l’esterminio de' malfattori ne' distretti di Gaeta e di Sora.

-   d. 18 maggio: Per la morte del tenente gen. Amato gli anzidetti straordinari poteri ne' distretti di Sora e Gaeta sono provvisoriamente conferiti al maresciallo di campo Capece Minutolo.

-   d. 5 giugno: Gli stessi straordinari poteri per i distretti di Gaeta e Sora sono trasferiti nella persona del comandante la prima divisione militare.

-   d. 21 luglio: Abolizione delle liste di fuor bando.

  • 1821:    

-   d. 22 agosto: Stabilimento delle commessioni in Sic[ilia] per la formazione delle liste di fuorbando.

-   d. 30 agosto: Provvedimenti vigorosi per il pronto esterminio de' malfattori che infestano il regno, o che potessero rifluirvi dallo Stalo pontifìcio.

  • 1822:    

-   d. 18 febbraio: I circondari di Laurenzana e di Calvello in Basilicata sono sottoposti a governo militare per i disordini ivi avvenuti, ne' giorni 3 e 10 feb. 1822 per opera di unioni armate.

-   d. 12 agosto: Minorazione di pena accordata ai fuorbanditi evasi da' luoghi di pena in Sic[ilia], e quindi spontaneamente presentati senza commettere altri reati.

  • 1826:    

-   d. 24 maggio: Le comitive armate sono giudicate dalle commessioni militari.

  • 1832:    

-   d. 7 dicembre: La competenza per la punizione de' misfatti di scorreria per la campagna in comitiva armata è data alle g. c. speciali.

  • 1834:    

-   d. 23 gennaio: Provvedimenti per la punizione delle comitive armate in Sic[ilia], e di coloro che apprestano ricetto, armi e viveri ai componenti di esse.

 

Giudice Pietro Calà UlloaE mi fermo al '34 non perchè, si badi bene, attorno a quell'epoca il "banditismo" (si noti che non viene mai usata la parola "brigantaggio": fu così, infatti che i Borbone eradicarono quel fenomeno: semplicemente chiamandolo con altro nome!) sia stato eliminato, dal momento che, ancora nel 1838 il giudice Calà Ulloa, fra i più integri mai a prestar servizio sul suolo siciliano, ebbe a dire in una sua relazione:

"Non vi è impiegato in Sicilia che non sia prostrato al cenno di un prepotente e che non abbia pensato a tirar profitto del suo ufficio. Vi ha in molti paesi delle fratellanze, specie di sette che diconsi partiti, senza riunione, senz'altro legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente, là un arciprete. Una cassa comune sovviene ai bisogni, ora di far esonerare un funzionario, ora di incolpare un innocente. [...] Come accadono furti, escono dei mediatori per offrire transazioni per il reciperamento degli oggetti rubati. Molti alti magistrati coprono queste fratellanze di un egida impenetrabile, come lo Scarlata, Giudice della Gran Corte Civilie di Palermo, come il Siracusa, altro magistrato [...] Non è possibile indurre le guardie cittadine a perlustrare le strade, nè di trovare testimoni pei reati commessi in pieno giorno. Al centro di tale stato di dissoluzione evvi una capitale col suo lusso e le sue pretenzioni feudali in mezzo al secolo XIX, città nella quale vivono quarantamila proletari, la cui sussistenza dipende dal lusso e dal capriccio dei grandi. In questo umbelico della Sicilia si vendono gli uffici pubblici, si corrompe la giustizia, si fomenta l'ignoranza. Dal 1820 il popolo si solleva spinto dal malcontento, NON DALLE UTOPIE DEL TEMPO. La sua sollevazione, che indubbiamente avverrà, potrà paragonarsi a quella dei napoletani sotto gli Aragonesi e gli Spagnuoli, quando il grido del popolo era: muora il malgoverno".

Calà Ulloa non pronunzia mai il nome "Mafia" perchè all'epoca tale nome non esisteva ancora in nessun atto ufficiale, ma i comportamenti denunciati erano inequivocabilmente quelli.

Che, poi, si voglia anche dire che l'Unità non concorse minimamente ad eliminarla, questo è altro discorso, ma da affrontare con gli strumenti che attengono all'analisi del comportamento sociale di un certo tipo di capitalismo selvaggio, in ogni tempo (anche oggi) e sotto ogni bandiera.

Altrimenti, i meno avveduti potrebbero essere indotti a pensare che basterebbe eliminare quella che viene indicata come Causa Prima (l'Unità d'Italia) per eliminare anche il problema alla radice ... o è proprio ciò che si vuole?

11 Maggio 2012

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