Responsabile

Leo Alati

 

 

 

La Risaia

 

 

Mensile dei riformisti vercellesi

Principato di Lucedio

In mezzo alla sterminata distesa di risaie del Basso Vercellese, sorge l'abbazia di Lucedio che venne fondata nel 1123 da un gruppo di monaci cistercensi provenienti dall’abbazia francese di La Ferté, in Francia, in un periodo di pieno sviluppo dell’ordine cistercense. Sorse su terreni paludosi, di proprietà del marchese Ranieri I del Monferrato, occupati in precedenza da un’immensa foresta, di cui si conserva ancora una piccola porzione, il Bosco delle Sorti della Partecipanza di Trino.
L'abbazia venne dedicata a Santa Maria, così come voleva la Regola cistercense e nel corso del XII, XIII e XIV secolo la potenza crebbe considerevolmente grazie ad importanti lasciti da parte dei Marchesi di Monferrato e all’astuzia dei suoi abati.

Costruita secondo la Regola cistercense che imponeva sia la scelta dei luoghi per gli insediamenti (lontani dagli insediamenti abitativi per potersi dedicare indisturbati alla vita comunitaria che si rifaceva alla regola originaria benedettina dell’ora et labora) sia le modalità costruttive, venne eretta secondo il piano ideale dei monasteri cistercensi ideato da San Bernardo. Tale piano si ispirava alla perfezione, alla Gerusalemme Celeste, all’abbazia di San Gallo, considerata il modello perfetto di abbazia e si basava su semplici moduli costruttivi quali il cerchio, il triangolo, il quadrato e il rettangolo.

Il patrimonio terriero dell'abbazia raggiunse, già dal XIII secolo, un’estensione considerevole, dando origine ad un sistema di grange, termine derivante dal latino “granica” (granaio, magazzino) e consistente in unità agricole dipendenti dall’abbazia  necessarie per controllare i raccolti dei territori più lontani dal nucleo abbaziale. Le grange facevano capo ad un monaco, il cellerario ed erano organizzate dai conversi. Il primo nucleo di grange era composto da sei unità prossime all’abbazia (Montarolo, Darola, Castel Merlino, Leri, Montarucco, Ramezzana) comprendendo successivamente anche appezzamenti più lontani situati sulle colline del Monferrato e nel Canavese.

Ancora oggi il termine viene utilizzato per indicare la strada provinciale che unisce Crescentino a Vercelli, lambendo le antiche proprietà dei monaci cistercensi. Una distesa immensa di risaie e di colori che nel corso dell’anno mutano, passando dal marrone della terra ancora incolta dell’inverno, al magnifico specchio d’acqua a quadretti dei mesi primaverili in cui si specchiano gli incantevoli tramonti delle giornate più calde, al verde intenso del riso che inizia a crescere d’estate, fino al giallo intenso delle pannocchie mature a inizio autunno.

La storia, l’importanza e la potenza dell’abbazia mutò profondamente a partire dal 1457, quando venne eretta in Commenda. Primo abate commendatario fu Teodoro I Paleologo;  successivamente il feudo passò ai Gonzaga  e poi ai  Savoia. Nel 1784 – dopo un periodo di forti attriti con la diocesi di Casale per la nomina dell'abate commendatario, l'abbazia venne secolarizzata e le sue grange divennero parte della Commenda Magistrale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. I monaci cistercensi, ridotti ormai ad una decina, furono trasferiti a Castelnuovo Scrivia.

Il XIX secolo fu un periodo abbastanza tormentato per la proprietà di Lucedio, a partire dal 1802 quando i decreti napoleonici soppressero gli ordini religiosi e ne determinarono il passaggio nelle mani di Camillo Borghese, quale pagamento della quarta parte dei beni che Napoleone aveva requisito a Roma a Villa Borghese (all’epoca la proprietà consisteva in circa 3.000 ettari di terreno).

Camillo Borghese cedette la proprietà di Lucedio alla Società Piemontese di cui faceva parte anche il Marchese Michele Benso Conte di Cavour. Nella spartizione in tre parti della proprietà di Lucedio, comprensiva anche di Grange, il lotto con il complesso abbaziale di Lucedio passò sotto il controllo del Marchese Giovanni Gozzani di San Giorgio Monferrato che, nel 1861, probabilmente oberato dai debiti di gioco, cedette la tenuta al partizio genovese Raffaele de Ferrari, Duca di Galliera, al quale Vittorio Emanuele II conferì il titolo di Principe. Nacque così il Principato di Lucedio, denominazione che appare tuttora sul portale d'ingresso della tenuta. Attualmente essa appartiene alla famiglia Cavalli d'Olivola.

La grangia di Leri, invece, passò nelle mani dei conti di Cavour e divenne un punto di riferimento importante per Camillo fin dalla sua giovinezza.

L’antica abbazia è  oggi una grande e moderna azienda agricola. Dell'antico monastero medievale sopravvivono ancora il campanile a pianta ottagonale, poggiante su di una base quadrata, il chiostro, la sala capitolare, il refettorio dei conversi e un magazzino per la conservazione delle derrate alimentari.

A Lucedio  si trovano le più importanti testimonianze dell’arte romanica lombarda diffusasi nel XII secolo nella zona del vercellese,.

La chiesa abbaziale, attualmente in stile barocco, frutto della ricostruzione iniziata nel 1767, sorge sulle rovine di una chiesa medievale, costruita in concomitanza con l’insediamento dei monaci in quella zona. Attualmente non è visitabile internamente. Chiesa e campanile sono di proprietà della Provincia di Vercelli.

All'interno della cinta muraria si trova una seconda chiesa: la così detta chiesa del popolo, costruita nel 1741e ridotta a deposito agricolo. Fu realizzata da Giovanni Tommaso Prunotto.

Tutt’intorno le risaie e la loro storia, di lavoro e di uomini, indissolubilmente connessa a quella di una Abbazia la cui origine si perde nel corso dei secoli, eppure ancora in grado, oggi, di suscitare interesse ed emozioni.

(7 agosto 2012)

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