Intervento al 6°Congresso del PSI
"Compagni, C'era un tale, un antipatizzante della categoria che diceva di noi "é uno che ha capito che é meglio fare il medico del lavoro piuttosto che lavorare", però è una professione che ci permette di essere a contatto con il mondo del lavoro. Un contatto che rischia di procurarci una forma di schizofrenia, di dissociazione tra la realtà che vedo tutti i giorni quando vado in fabbrica e quello che leggo su giornali e riviste: leggo che gli operai non ci sono più. Poi tutti i giorni da quarant'anni vado in fabbrica e gli operai li vedo, li visito, li parlo. Ma dico ho a che fare con dei fantasmi? É gente in carne ed ossa, c'è, esistono. Perché i sociologi dicono che non esistono più? Questo crea un certo sfasamento. É però un lavoro che é cambiato in questi anni. Trenta, quarant'anni fa quando stabilivo che un singolo lavoratore non potesse più essere esposto a un determinato lavoro ci si riuniva, si parlava con la proprietà, la direzione e si trovava un posto adeguato tenendo conto delle limitazioni che avevo prescritto. Adesso invece no, non succede niente. Ho notato da qualche anno in qua che quando io pongo una limitazione della capacità lavorativa succede semplicemente una cosa, che dopo qualche mese il lavoratore non viene più confermato. Tanto sono tutti contratti a termine quindi nel momento in cui io cerco di aiutare il lavoratore in realtà gli do la mazzata, nel senso che questo non viene più confermato. E poi un altro aspetto che si è creato in questi anni. Mi tocca a volte giudicare se un lavoratore di 65 anni, che è l'età che ho io, è idoneo a salire sui tetti. Magari è sano, è in buona salute però a 65 anni salire sui tetti non è una cosa semplice, si invecchia comunque anche se in buona salute. Se dico che è idoneo lo espongo a un rischio naturale, se dico che non è idoneo questo ha perso il lavoro. Quindi questo è il dramma che sto vivendo tutti i giorni perché alla fine c'è una differenza tra l'etica come socialista e l'etica del lavoro perché io come professionista dovrei essere semplicemente obiettivo e devo esserlo, come socialista mi metto anche nei panni di chi, padre di famiglia, a 60 anni rischia di perdere il lavoro. Ma non voglio annoiarvi a lungo con queste mie ansie, queste mie angosce che vivo tutti i giorni. Vorrei fare una proposta. Sono contento sia presente anche il compagno, lo considero anche un amico, Riccardo Nencini, perché comunque ci rappresenterà nelle istituzioni. La proposta che faccio io è questa: ho notato che, in realtà, non c'è tutta questa ansia di andare in pensione in fretta. La gente vuole andare in pensione semplicemente perché sa che ogni giorno che passa rischia di vedersi ridurre i propri diritti, rischia di rimetterci. Però non è che si possa lavorare tranquillamente e normalmente fino a 67-68 anni, si invecchia, la capacità fisica si riduce, anche quella psicologica, quella psichica. Una proposta che potrebbe essere anche di aiuto ai lavoratori senza destabilizzare il bilancio dello stato potrebbe essere questa: da 60 anni in su per ogni anno che passa proporre una settimana in più di ferie. A 60 anni si va il solito periodo normale di ferie e si aggiunge una settimana di ferie, a 62 se ne aggiungono due e via dicendo. Si arriverebbe a 67-68 anni con in pratica tre mesi di ferie. Questo consentirebbe due situazioni importanti:
Io credo che
una proposta del genere non dovrebbe essere destabilizzante per il
bilancio, potrebbe essere attuabile. Se si è convinti, se il partito è
convinto io per quello che posso darei volentieri il mio contributo. |
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