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Leo Alati

Immigrazione: retorica e realtà

Edoardo Crisafulli

Oggi vi parlerò di “Borgo Marina”, antica contrada di una importante e vivace città italiana: Rimini. Cerniera fra la zona mare e il centro storico, “Borgo marina” è a due passi dal mitico “Borgo San Giuliano”, che era tanto caro a Federico Fellini. Rasa al suolo nei bombardamenti del ’43 come gran parte del centro storico di Rimini, “Borgo Marina” è stata ricostruita com’era e dov’era grazie alla tenacia dei riminesi che, con la loro operosità, cancellarono velocemente le tracce della guerra. Oggi è un microcosmo della più vasta realtà dell’immigrazione in Italia: negli ultimi anni, il quartiere si è trasformato progressivamente in un ghetto afro-asiatico.

Sono spuntate come funghi le attività gestite da extra-comunitari – phone center, alimentari “halal” (islamici), e una miriade di negozietti che vendono mercanzia di scarso valore made in China (collanine di plastica e chincaglierie varie ecc.). I problemi non mancano: i residenti anziani “autoctoni” una volta avevano fornaio e alimentari a portata di mano; ora devono recarsi in pieno centro per fare la spesa minuta. Frequenti i bivacchi sui marciapiedi; e le sere d’estate è facile incappare in assembramenti di stranieri che si scolano varie bottiglie di birra, una dietro l’altra. Come ogni ghetto “multiculturale” che si rispetti, anche Borgo marina vanta la sua moschea: una casetta a schiera sulla via principale che porta in centro. La moschea, sovraffollata il venerdì, non si trova proprio in un luogo ideale. Ma non si può dire.

Sono scoppiate subite polemiche accese. Il tono è emblematico di come la nostra politica – avvolta nella nebbia dell’ideologia – non da’ risposte ai problemi dei cittadini. Si sono coagulati due schieramenti diametralmente opposti, senza possibilità di mediazione: da un lato la destra, che all’inizio rivendicava la difesa di una identità cristiana-riminese minacciata da fantomatiche orde barbariche; dall’altro la sinistra, che si è arroccata nell’elogio retorico della diversità. Insomma: muro contro muro, demagogia contro retorica. A onor del vero, la destra negli ultimi tempi ha cominciato a parlare anche di problemi reali. Ma i sacerdoti del politicamente corretto sono sempre sul chi va là, pronti a scomunicare l’eretico di turno: l’epiteto ‘’razzista’’ aleggia, minaccioso, su chiunque critichi la favola dell’immigrazione foriera di progresso e benesseri immediati. La destra, che è all’opposizione, fa il suo mestiere. Il problema qui è la sinistra, che è al governo della città ininterrottamente dal dopoguerra.

Sia chiaro: io rovescio l’impostazione della destra: quando siamo costretti a far presidiare pezzi di territorio dalle forze dell’ordine, vuol dire che la politica ha già fallito. Più che la svalutazione degli immobili, e i disagi dei residenti “riminesi doc” – cavalli di battaglia della destra – mi preme l’integrazione. Gli extra-comunitari vivono nell’isolamento più totale, in un’isola autosufficiente. Sapete qual è il paradosso di questa vicenda riminese e tutta italiana? I nipoti di quel glorioso partito che fu il PCI – oggi confluiti nel PD – si arrendono alla logica ferrea, inflessibile, del libero mercato. C’è un ghetto afro-asiatico? Alzano le mani al cielo, i dirigenti locali del PD. “La legge Bersani ha introdotto le liberalizzazioni. Non possiamo mica impedire la concentrazione di negozi etnici o phone center. Se i riminesi stessi affittano agli extra-comunitari, che possiamo farci?”

Noi socialisti difendevamo il libero mercato quando i comunisti duri e puri vagheggiavano una società pianificata, senza libertà di impresa (e come ironizzavano sulla “Milano da bere” governata dai socialisti che avevano a cuore il made in Italy!). Eppure noi non siamo mai stati liberisti: guai se gli spiriti animali del capitalismo corrono a briglie sciolte! Libero mercato, in un’ottica social-democratica, vuol dire regole precise, uguali per tutti. Perché non dovremmo impedire la concentrazione abnorme di alcuni tipi di attività commerciale nello stesso quartiere residenziale? Perché non pensare a incentivi per giovani imprenditori affinché possano avviare attività che rispondano ai bisogni della comunità locale? Va recuperata la progettualità socialista: spetta ai Comuni, alle Regioni, allo Stato indirizzare e regolamentare l’economia.

Alcuni esponenti del PD sembrano teorizzare la fine della politica che gestisce i territori, che elabora politiche sociali, che investe sull’integrazione autentica. Dopo aver pontificato sulle ‘magnifiche sorti e progressive’ dell’umanità, questi signori si limitano ad osservare il fluire degli eventi. Eppure il multiculturalismo, nobile filosofia, non dice: “accorrete a frotte, stranieri. Noi vi accoglieremo a braccia aperte. Poi però dovrete arrangiarvi: tanto il libero mercato sistemerà tutto, magicamente”. Chi milita o vota a sinistra tende a scivolare nella retorica dell’accoglienza. Ci piace pensare che noi abbiamo il monopolio dei buoni sentimenti; godiamo nel bacchettare i dissenzienti che non si accodano alla nostra visione ideologica. Io sogno una sinistra pragmatica che miri a risolvere i problemi della convivenza tra etnie, in nome dei valori di giustizia e libertà in cui credo. La sinistra ideologizzata parla un solo linguaggio: quello dei diritti e della tolleranza, a prescindere. La sinistra che ho in mente io parla un linguaggio più articolato e più maturo: per ogni diritto c’è un dovere; e la tolleranza esige il rispetto reciproco, nonché l’osservanza delle leggi, da parte di tutti – italiani ed extra-comunitari.

Lasciamo la provincia italiana e spostiamoci nella civile Gran Bretagna, nazione con un passato coloniale che da decenni è alle prese con i problemi dell’immigrazione. Anche là il dibattito tra destra e sinistra, su questo tema, è aspro. C’è sono differenze però: il partito conservatore è liberale e libertario, e quindi combatte ogni manifestazione di razzismo. Dal canto suo, il partito laburista – riformista da sempre e, su molte questioni, più a sinistra del PD – predilige le soluzioni concrete. Jackie Ashely, opinionista del Guardian (una delle testate più “sinistroidi” al mondo), figlia di un deputato storico del partito di Blair e Miliband – nonché simpatizzante laburista – dice cose sensate che in Italia sono ritenute appannaggio della destra leghista. “Ciò che vogliamo è un forte senso di cittadinanza condivisa, con diritti e doveri che procedano di pari passo. Questa è sempre stata la posizione dei progressisti. Ma è impossibile partecipare se non parli e non capisci la lingua inglese… Le comunità ghetto sono sempre negative. Alimentano un clima di sospetto da entrambe le parti. Erodono il senso di una cittadinanza comune.” (“Labour can afford to push harder on immigration”, The Guardian, 17.12.2012)

Il PD di recente ha aderito al Partito del socialismo europeo – per questa decisione Matteo Renzi va elogiato. Cari “compagni” del PD, siate coerenti: buttate alle ortiche una buona volta i residui del catto-comunismo. Smettetela con questa manfrina del Buon Samaritano. Sappiamo bene che la diversità arricchisce. L’immigrazione, se gestita come si deve, è una risorsa straordinaria. Ma affinché lo sia dovete affrontare di petto i problemi che l’immigrazione inevitabilmente genera. Non siamo in grado di accogliere tutti: l’Italia ha bisogno anche di cervelli, non solo di braccia. Non dobbiamo concedere la cittadinanza a chi non parla l’italiano: non faremmo i suoi interessi. Non possiamo accettare la logica delle comunità-ghetto: i primi a rimetterci sono gli immigrati stessi che non si integreranno mai. Nella concessione di benefici (case popolari, sussidi ecc.) vanno stabiliti criteri di priorità: agli italiani più a lungo residenti nel nostro paese, purché in regola con il fisco, va riconosciuto un diritto di precedenza rispetto agli immigrati. È assurdo stare con le mani in mano ad aspettare che il libero mercato faccia e disfaccia a suo piacimento: l’integrazione richiede una politica sociale energica. Last but not least: nessuna comunità si regge solo su diritti: il principio sacrosanto della solidarietà va coniugato con il rispetto dei doveri civici da parte di chi ha scelto di vivere in Italia.

Pubblicato su Avanti! il 4 marzo 2015

(8/3/2015)

 

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