Se grande
finanza e UE tifano
per la controriforma
Renzi-Boschi
Non si può
veramente capire
perché la
Costituzione
Italiana viene
stravolta così
malamente dal
premier Matteo
Renzi senza
comprendere
quanto i mercati
finanziari e
l'Unione Europea
- che
istituzionalizza
di fatto la loro
rapace
supremazia –
abbiano premuto
e spingano per
una svolta
autoritaria e
antidemocratica
in modo da
potersi
garantire il
potere
sovranazionale
sugli stati
europei. Non è
insomma
plausibile
condurre una
battaglia
efficace contro
lo
stravolgimento
costituzionale
progettato dal
governo senza
contrastare
contemporaneamente
le forze
economiche
internazionali
(grandi banche
d'affari, fondi
speculativi,
ecc) e le
istituzioni
politiche
sovranazionali
ed estere
(Troika,
Commissione UE,
BCE, governo
tedesco) che
hanno spinto la
coppia
Renzi-Boschi a
proporre di
avanzare su una
strada
anti-democratica
di quasi-regime.
Purtroppo sono
molto pochi
quelli che
all'interno
delle forze
progressiste
vedono il legame
tra la pressione
della grande
finanza
internazionale e
dell'Unione
Europea da una
parte e la
svolta
autoritaria
contro la
Costituzione
Italiana
dall'altra.
Ma è evidente
che i progetti
thatcheriani di
riforma
strutturale
della
Commissione UE e
della BCE –
riduzione del
welfare e taglio
alle pensioni,
alla sanità e
all'istruzione;
privatizzazione
e
liberalizzazione
dei servizi
pubblici;
abolizione del
contratto
nazionale,
flessibilità e
riduzione del
costo del
lavoro;
responsabilità
dei
risparmiatori
comuni di fronte
ai fallimenti
bancari, ecc,
ecc – richiedono
una profonda
trasformazione
della Legge
Fondamentale nel
senso quanto più
autoritario
possibile. Per
attuare il
programma
economico
“lacrime e
sangue” voluto
dalla Unione
Europea e dalla
grande finanza
internazionale
certamente non
occorre più
democrazia e più
pluralismo:
occorre invece
dare più potere
all'esecutivo e
al “leader
maximo”.
Ha ragione
Sergio Fabbrini
– docente di
Scienze
Politiche e
Relazioni
Internazionali
all'Università
privata Luiss di
Roma, uno dei
principali
editorialisti
del Sole 24 Ore
e grande
consigliere di
Confindustria
sulle materie
istituzionali
europee - quando
afferma che
l'Europa
continua ad
essere la grande
assente nel
dibattito sulla
riforma
costituzionale
italiana. Ma
Fabbrini, tra
gli interessi
nazionali e
quelli
sovrannazionali,
sceglie i
secondi.
Secondo Fabbrini
(Sole 24 Ore 15
maggio 2016)
“c'è una idea
implicita che
unisce gli
oppositori della
riforma: ovvero
che il nostro
sia un paese
sovrano che
stabilisce i
suoi equilibri
costituzionali
sulla base di
esclusive
considerazioni
interne.
L'Unione Europea
è considerata
un'organizzazione
internazionale
con la quale
intrattenere
solo
tradizionali
rapporti di
politica
estera”. Ma le
cose secondo
Fabbrini non
stanno così: “da
molto tempo
l'Italia al pari
degli altri
paesi
dell'Unione
Europea non è
più uno stato
nazionale
sovrano proprio
perché divenuto
uno Stato membro
di
un'organizzazione
che non è
internazionale
ma
sovranazionale.
Nell'Unione
europea la
sovranità è
condivisa; ma se
l'Italia è uno
Stato membro di
un'organizzazione
sovranazionale
allora è
evidente che i
suoi equilibri
costituzionali
devono
rispondere ad
esigenze esterne
e non solo
interne....Se
sei membro della
UE e
dell'Eurozona
non si può fare
ciò che si
vuole”.
Spiega ancora
Fabbrini: “La
scarsa crescita
del Paese negli
ultimi anni può
spiegare perché
il debito
pubblico sia ora
sopra il 132%
del PIL: di
sicuro però quel
debito (che
stato
sistematicamente
superiore al
100% dal 1991) è
dovuto anche le
difficoltà del
nostro sistema
decisionale a
governare il
processo di
bilancio. Il
bicameralismo
paritario,
combinato con un
decentramento
accentuato di
potere di spesa
alle Regioni in
presenza di un
sistema
partitico
frammentato, ha
favorito la
perdita di
controllo della
politica
finanziaria da
parte del
governo
nazionale. Se
non recuperiamo
quel controllo
onorando i
vincoli
dell'interdipendenza,
l'intera
eurozona che ne
risentirà”.
Per l'Italia il
vincolo
dell'interdipendenza
europea è il
debito pubblico
(e quello
privato, che
però Fabbrini
non cita). In
nome del debito
dobbiamo allora
“riformare” la
nostra
Costituzione.
Altro che
democrazia dei
cittadini! altro
che sovranità
nazionale! Tutto
il potere ai
creditori,
soprattutto se
sono
internazionali!
Quello che
Fabbrini
dimentica è che
noi non
cresciamo più
anche e
soprattutto a
causa delle
politiche
stupide e
suicide di
austerità che
l'Europa
dell'euro ci
impone.
A causa delle
politiche
restrittive
europee il
rapporto
debito/PIL
continua a
peggiorare
inesorabilmente
(perché il PIL
non cresce o
cresce meno del
debito) e noi
siamo sempre più
schiavi del
debito stesso.
Per pagare i
debiti occorre
crescere, ma la
UE ci impone
l'austerità per
pagare i debiti.
Quindi non
cresciamo. E' un
comma 22, una
spirale perversa
senza vie di
fuga. Con il
Fiscal Compact
imposto dalla UE
la situazione è
destinata a
peggiorare,
almeno
continuando a
percorrere
questa politica
E non è vero che
lo stato
italiano spende
troppo !!! E'
vero il
contrario. Noi
da circa due
decenni abbiamo
un avanzo
primario, cioè
lo stato spende
meno di quanto
incassa con le
tasse dei
cittadini. Il
deficit pubblico
viene dal
pagamento di
interessi come
servizio del
debito.
In realtà noi
siamo in deficit
solo perché
paghiamo una
montagna di
interessi ai
nostri
creditori, in
buona parte
esteri. Ci
dissanguiamo per
pagare gli
interessi sul
debito pubblico
indebitandoci
sempre di più.
L'obiettivo vero
delle
istituzioni
europee e
internazionali è
di costringerci
a svendere i
gioielli
nazionali (tra
cui le grandi
banche). Cioè ci
impongono la
crisi grazie a
regole assurde e
ingiuste per
imporre la
svendita dei
servizi pubblici
e delle nostre
migliori
aziende.
La moneta unica
è il principale
grimaldello per
costringerci a
infilarci nel
tunnel della
crisi, perché
impedisce
politiche
espansive
(fondate su più
spese per
investimenti
strategici e
consumi, e meno
tasse), perché
impedisce il
riallineamento
dei prezzi con
l'estero (la
svalutazione), e
perché ci impone
tassi di cambio
troppo elevati
verso il dollaro
a le altre
monete
internazionali.
Essendo la
svalutazione
della moneta
impossibile,
allora essa
viene ribaltata
sul lavoro e sul
capitale
nazionale. Una
corsa verso il
basso.
Come
Confindustria e
sindacati
possano
incamminarsi
senza farsi
troppi problemi
su questa strada
suicida appare
una questione
difficile da
capire. Infatti
senza difesa
dell'interesse
nazionale anche
la nostra
industria e le
nostre banche, e
non solo il
nostro lavoro,
sono destinati a
soccombere e ad
essere assorbiti
dal capitale
estero.
Ma Fabbrini è un
deciso
europeista e
afferma che la
nostra
Costituzione
frena
l'assunzione
delle direttive
politiche
europee. “Le
direttive
europee
definiscono
l'obiettivo di
policy che
singoli Stati
devono
raggiungere
lasciando ad
essi la
decisione sulle
modalità per
farlo. E'
difficile
contestare che i
nostri ritardi
siamo il
risultato di un
processo
legislativo che,
proprio perché
organizzato
intorno ad un
bicameralismo
paritario, è
risultato
necessariamente
farraginoso,
lento, ed
esposto a
continui veti”.
Conclude
Fabbrini:
“Riformare il
bicameralismo,
ricondurre alla
sola Camera dei
Deputati il
rapporto
fiduciario tra
il governo e
potere
legislativo,
razionalizzare
il rapporto tra
Stato centrale e
Regioni così da
meglio
controllare le
politiche di
spesa, sono
passaggi
istituzionali
necessari per
adeguare il
nostro sistema
decisionale alla
logica
dell'integrazione
europea”.
Insomma,
dovremmo
inchinarci al
potere
sovranazionale
di opache
oligarchie
finanziarie/speculative
e di governi
stranieri che
rappresentano
gli interessi
dei nostri
concorrenti!
cioè di
strutture
politiche e
tecnocratiche
come quelle
europee che
nessuno - ma
proprio nessuno!
- ha eletto, e
che
rappresentano
piuttosto gli
interessi del
governo egemone
in Europa,
quello tedesco.
Una lucida
visone di quanto
sta accadendo ci
è offerta invece
non da un
economista o uno
scienziato
politico ma da
un insigne
magistrato,
Roberto
Scarpinato.
“Si è avviato un
complesso e
sofisticato
processo di
reingegnerizzazione
oligarchica del
potere che si
declina a
livello
sovranazionale e
nazionale lungo
due direttrici.
La prima è
quella di
sovrapporre i
principi cardini
del liberismo a
quelli
costituzionali
trasfondendo i
primi in
trattati
internazionali e
trasferendoli
poi nelle
costituzioni
nazionali.
Esempio tipico è
l'articolo 81
della
Costituzione che
imponendo
l'obbligo del
pareggio di
bilancio
impedisce il
finanziamento in
deficit dello
Stato sociale e
trasforma i
diritti assoluti
sanciti nella
prima parte
della
Costituzione in
diritti
relativi, cioè
subordinati a
discrezionali
politiche di
bilancio imposte
da organi
sovranazionali
spesso di tipo
informale e
privi di
legittimazione
democratica”.
Scarpinato
spiega: “La
seconda
direttrice
consiste nel
trasferimento
dei centri
decisionali
strategici negli
esecutivi
nazionali
incardinati ad
esecutivi
sovranazionali,
declassando i
Parlamenti a
organi di
ratifica delle
decisioni
governative e
sganciandoli dai
territori
tramite la
selezione del
personale
parlamentare per
cooptazione
elitaria grazie
a leggi
elettorali ad
hoc. Il gioco
dialettico tra
maggioranza-
minoranza viene
disinnescato
grazie a premi
di maggioranza
tali da
condannare le
forze di
opposizione
all'impotenza".
Non si tratta di
un unico
“complotto
internazionale”
ma di una linea
politica
esplicitata da
più parti:
sovrapporre
poteri
sovranazionali
irresponsabili e
incontrollabili
rispetto ai
poteri sovrani
degli stati
nazionali e ai
poteri
democratici dei
popoli. La banca
d'affari J.P.
Morgan ha
scritto
chiaramente che
la gestione
della crisi
europea e
italiana
richiede dei
cambiamenti
costituzionali
radicali.
La stessa BCE ha
scritto a chiare
lettere al
governo italiano
che “Sarebbe
appropriata
anche una
riforma
costituzionale
che renda più
stringenti le
regole di
bilancio”.
Il TTIP,
Transatlantic
Trade and
Investment
Partnership, è
il trattato
attualmente in
discussione per
la
liberalizzazione
commerciale
transatlantica.
Ha l'intento
dichiarato di
modificare
regolamentazioni
e standard (le
cosiddette
“barriere non
tariffarie”) e
di abbattere
dazi e dogane
tra Europa e
Stati Uniti
rendendo il
commercio più
fluido tra le
due sponde
dell'oceano. Il
TTIP nasconde
però ancora una
volta il
trasferimento
dei poteri
legislativo e
giudiziario dal
livello
nazionale ai
grandi organismi
internazionali
non eletti in
difesa dei
grandi
investitori.
Ecco come
Alessandra
Algostino spiega
questa tendenza
a sovrapporre il
diritto
commerciale al
diritto
costituzionale.
“La devoluzione
della competenza
a risolvere le
controversie
investitore-Stato
ad un arbitrato
internazionale è
parte del più
ampio capitolo
riguardante la
protezione degli
investimenti,
che, a sua
volta,
rappresenta un
settore del
commercio
internazionale
o, più
ampiamente, del
diritto
internazionale
dell’economia. È
un diritto che
proviene sempre
meno dalle
convenzioni
internazionali e
sempre più dai
modelli
contrattuali
elaborati dagli
uffici legali
delle grandi
multinazionali,
con una palese
indifferenza per
criteri di
legittimazione e
processi
democratici: in
questo senso è
fluido e
flessibile, non
certo perché non
sia coattivo.
I meccanismi
ISDS (Investor-State
Dispute
Settlement)
prima facie
esautorano gli
organi
giudiziari
statali, e,
indirettamente,
data la forza,
sanzionatoria e
deterrente, che
possiedono,
comprimono la
potestà
decisionale
degli Stati, a
livello politico
e normativo. Ciò
integra
ovviamente un
vulnus alla
sovranità, ma
anche una
multipla
violazione della
democrazia (nel
senso che
intacca, ad
esempio, la
sovranità
popolare, il
potere
legislativo, la
tutela dei
diritti, il
progetto di
emancipazione
sociale),
aggravata dalla
considerazione
che i lodi
arbitrali si
svolgono in un
contesto che
spesso non
risponde a
canoni
democratici
quanto alla
legittimazione
del potere, al
suo controllo,
all’organizzazione,
al quadro
giuridico di
riferimento”.
Di fronte a
questa tendenza
neo-coloniale e
neo-autoritaria
il primo
obiettivo delle
forze
progressiste e
di tutte le
forze sociali e
produttive
dovrebbe essere
innanzitutto la
difesa
dell'interesse
nazionale. Cioè
del benessere
dei cittadini,
dello stato
sociale, delle
nostre industrie
strategiche,
della sovranità
democratica, del
nostro
risparmio, delle
nostre banche.
Non si tratta di
diventare
sciovinisti e
nazionalisti
gonfi di
retorica
patriottarda: si
tratta
semplicemente di
difendere il
nostro presente
e il nostro
futuro
nell'ambito di
una economia
nazionale
produttiva,
aperta,
innovativa e
competitiva. Ma
non subordinata
alla grande
finanza
internazionale o
a istituzioni o
governi esteri.
Probabilmente il
maggiore
contributo,
immediato e
concreto, per la
difesa del
benessere
nazionale
potrebbe venire
dall'introduzione
di forme di
(quasi)moneta
nazionale come
la cosiddetta
“moneta fiscale”.
Ovvero un titolo
di stato con
valenza fiscale
(e monetaria) da
distribuire alle
famiglie e alle
aziende in grado
di rilanciare la
domanda e i
consumi, ridare
ossigeno alla
industria
nazionale,
creare nuove
infrastrutture
pubbliche, nuovi
investimenti e
nuova
occupazione.
Sarebbe un modo
autonomo e
legittimo di
uscire dalla
gabbia
deflattiva
dell'eurozona
con grande
consenso
sociale, senza
però correre
tutti i rischi
di una uscita
unilaterale
dell'Italia
dall'euro, e
senza aumentare
il debito
pubblico.
Articolo di
Enrico Grazzini
pubblicato su
Micromega il 16
giugno 2016
(1/7/2016) |