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Condannato per corruzione il giudice resta al suo posto

Dopo la sentenza penale il Pd vuole «le dimissioni o per lo meno la sospensione» di Passanisi dall’incarico e in un’interrogazione parlamentare chiede al premier Monti un’azione disciplinare

“Sentenza venduta”, nei guai il presidente del Tar Marche

Può continuare a pronunciare sentenze un magistrato condannato in primo grado per corruzione in atti giudiziari? Per la legge sì, poiché non è prevista una sospensione automatica. Per il Pd no, tanto da invocare in Parlamento un intervento del presidente del Consiglio Monti. 

Il protagonista è Luigi Passanisi, presidente del Tar Marche. Una settimana fa è stato condannato in primo grado a tre anni e sei mesi di reclusione (il pm ne aveva chiesti sei). Il reato è il più infamante per un giudice: corruzione in atti giudiziari per aver «venduto» una sentenza del Tar di Reggio Calabria nel 2005, quando ne era presidente. Il presunto corruttore, condannato a quattro anni, è Amedeo Matacena, imprenditore e deputato di Forza Italia dal 1994 al 2001, già coinvolto in un’inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa, nella quale dopo un’assoluzione annullata dalla Cassazione è stato condannato in secondo grado a cinque anni. Secondo la Procura e il tribunale, Passanisi aveva accettato la promessa di ricevere 200 mila euro dal deputato per favorire le sue società di navigazione in alcuni ricorsi contro l’Ufficio marittimo. 

Il processo si è concluso con altre sei condanne, tra cui quella della moglie dell’alto magistrato, Graziella Barbagallo, a un anno e otto mesi, per accesso abusivo ai sistemi informatici in concorso con Agatino Sarrafiore, ex comandante provinciale della Finanza, a sua volta condannato a otto mesi in appello per rivelazione di segreto d’ufficio. Secondo il pm, la moglie di Passanisi aveva chiesto aiuto al finanziere, insospettita da quanto capitato al figlio. Il ragazzo si era imbattuto in una pattuglia di carabinieri che cercavano di piazzare una microspia nell’auto del padre.  

Di fronte all’imprevisto incontro, i militari avevano simulato un controllo anti rapina, ma il ragazzo non l’aveva bevuta. Preso il numero di targa dell’auto dei carabinieri, lo aveva passato alla madre, che si era rivolta al finanziere per un controllo nelle banche dati delle forze dell’ordine, rivelatore dell’indagine sul marito. 

Per Passanisi si tratta del secondo infortunio giudiziario. Nel 2009 il sindaco di Catania Umberto Scapagnini, medico di Berlusconi, lo aveva nominato assessore al contenzioso e all’urbanistica, ma il Consiglio di presidenza (corrispondente del Csm) dei giudici amministrativi aveva negato l’autorizzazione perché voleva svolgere il doppio ruolo di presidente del Tar a Reggio e assessore a Catania. Passanisi non si era dato per vinto, invocando «le libertà e i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione» e facendo ricorso allo stesso Tar Calabria, che gli aveva dato ragione insediandolo in Comune. Ma la carriera politica era stata troncata dal trasferimento del fascicolo per competenza al Tar Lazio, dalla prima sentenza negativa e dall’infruttuoso appello al Consiglio di Stato. Di quella esperienza gli resta un processo davanti alla Corte dei conti per illegittimi incarichi nell’ufficio stampa del Comune, per i quali è stato condannato in primo grado a un lieve risarcimento con Scapagnini e altri assessori. 

Dal 2009 Passanisi è presidente del Tar Marche. Ora, dopo la sentenza penale, il Pd reclama «le dimissioni o per lo meno la sospensione» dall’incarico e con un’interrogazione parlamentare chiede al premier un’azione disciplinare «per grave lesione del prestigio e della credibilità della magistratura». Passanisi ha sostenuto di non aver mai avuto rapporti con Matacena, ha annunciato appello e rifiuta l’ipotesi di autosospendersi. Nelle prossime settimane continuerà a presiedere udienze e a firmare sentenze.

Articolo di Giuseppe Salvaggiulo pubblicato su La Stampa del 10 ottobre 2012

(23 novembre 2012)

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