Responsabile

Leo Alati

 

 

 

La Risaia

 

 

La voce dei riformisti vercellesi

Quei “controllori” innamorati del potere
Mai così tanti giornalisti candidati

Non è la prima volta che nella storia della Repubblica un giornalista diventa parlamentare. Il salto dalla scrivania ai banchi della Camera o del Senato è sempre esistito e se vogliamo facilitato dalla vicinanza che spesso chi fa informazione ha col potere. Niente di nuovo quindi? No, qualche novità c’è e ce la rende immediatamente visibile il dato quantitativo. Nella prossima legislatura il gruppo di ex giornalisti sarà abbastanza folto e proveniente da testate di primo piano. Mucchetti e Severgnini dal Corriere, Dominijanni dal manifesto, Sandro Ruotolo da Servizio Pubblico, e addirittura due ex direttori: Sechi del Tempo e Mineo di Rainew24. Per non parlare di Oscar Giannino, che corre con una lista tutta sua.

Troppi per non tentare di capire che cosa sia successo. Troppi soprattutto se sommati a un altro dato: accanto a loro in politica siedono diversi magistrati. Cioè le due professioni, giornalisti e giudici, che dovrebbero fare da sentinelle al potere a un certo punto decidono loro stessi di farne parte. Il salto, al di là del valore dei singoli su cui evidentemente non sindachiamo, ci raccontano ancora una volta di come profonda sia la crisi della democrazia in questo Paese. Siccome il sistema non funziona invece di riformarlo è come se lo rendessimo ancora più vacillante, contraddittorio, esposto a un disequilibrio tra i diversi poteri. Perché un lettore dovrebbe credere alla terzietà, all’obiettività dei giornalisti se poi in maniera massiccia se ne vanno dall’altra parte? Perché dovrebbero avere fiducia in un sistema in cui il controllore diventa il controllato?

I due fenomeni, per quanto abbiano molti punti in comune, vanno analizzati in maniera separata: da una parte si tratta di capire il connubio magistratura-politica, dall’altra quello tra informazione, spettacolo e media. Ed è su quest’ultimo punto che mi interessa soffermarmi, non solo per il dato macroscopico che ci consegnano le prossime elezioni, ma anche per un altro fatto che si intreccia a questo: mentre un drappello va in Parlamento, la carta stampata sta attraversando una crisi che alcuni iniziano a definire epocale. Giornali che chiudono o reggono pochi mesi di vita, testate storiche anche a livello internazionale che decidono di dire basta e restare solo online. Sembra che più nessuno abbia bisogno di noi giornalisti, come se fossimo diventati una categoria in via d’estinzione. Non resta quindi, come suggeriva in un suo articolo sull’Huffington Post Ritanna Armeni, che tentare di salvarsi cercando una diversa collocazione da un’altra parte.

L’intreccio tra informazione, politica e spettacolo ha avuto gli ultimi vent’anni come laboratorio in cui dare spazio a nuove figure, mescolare i piani, costruire senso comune. Non è un caso che i talk show siano stati, nel bene e nel male, il luogo dove si sono perse o vinte le elezioni e dove giornalisti e politici sono stati gomito a gomito per anni. In quelle dirette televisive è cambiata la televisione ed è cambiata la politica. Ma questo lo sapevamo. Ciò forse di cui non eravamo veramente consapevoli è che quel modo di fare informazione stava cambiando anche noi, il modo di intendere il nostro mestiere e il suo rapporto con i cittadini. La puntata di Servizio Pubblico in cui ha partecipato Berlusconi, da questo punto di vista, ha forse chiuso una fase perché ha portato all’esasperazione tutti i difetti e i pregi di quel modo di fare televisione, spostando l’asticella dall’informazione definitivamente alla voce spettacolo. E così che, mentre nessun programma di politica può fare a meno dei giornalisti, i giornalisti rischiano di stare senza lavoro (e forse anche di avere meno credibilità). Non si tratta di rimpiangere il tempo che fu o di chiedere un azzeramento di questo o quel modo di fare giornalismo. Ma sicuramente questa volta non possiamo fuggire da una riflessione seria su quale sia il ruolo dell’informazione in un sistema comunicativo completamente mutato. C’è ancora bisogno di professionisti che raccontino la realtà quando chiunque può esprimere il proprio parere o raccontare un fatto sui social network? Serve ancora un ruolo terzo tra la politica e la società per capire le scelte di chi ci governa? Sono domande a cui è necessario rispondere presto. E non si tratta di difendere la categoria o di fare una discussione solo tra giornalisti sperando di evitare il peggio per il proprio futuro lavorativo. Le domande sul ruolo dell’informazione riguardano tutti, perché strettamente connesse al livello democratico di un Paese, al suo grado di civiltà. Non aspettiamo di venire travolti. Ragioniamoci insieme.

Articolo di Angela Azzaro pubblicato su Gli Altri il 18 gennaio 2013.

© 2012 La Risaia   Mensile dei riformisti vercellesi

Webmaster & Design by Francesco Alati

Home