Indagato
per
evasione,
non
sarà
processato:
il
reato
è
prescritto
Gino
Paoli
e i
soldi
in
nero:
“Era
un
sistema
diffuso”
I
milioni
in
Svizzera
c’erano
davvero,
trasferiti
dopo
alcuni
pagamenti
sottobanco
per
esibizioni
a
feste
di
partito.
Ma
siccome
non
è
possibile
stabilire
quando
fu
accumulato
il
tesoretto
poi
esportato
all’estero,
l’inchiesta
va
archiviata
per
prescrizione.
Con
questa
motivazione
nei
giorni
scorsi
il
sostituto
procuratore
Silvio
Franz
ha
chiesto
di
prosciogliere
Gino
Paoli,
indagato
da
un
anno
e
mezzo
per
un’evasione
fiscale
da
ottocentomila
euro
(tasse
dovute
su
due
milioni
finiti
oltreconfine)
legata
a
un’infedele
dichiarazione
dei
redditi.
Il
cantante
si
era
difeso
con
abilità,
temendo
i
contraccolpi
mediatici
d’un
processo
e di
un’eventuale
condanna,
e
insistendo
sul
periodo
incerto
delle
varie
movimentazioni
per
«retrodatarle»,
ma
la
svolta
impressa
dalla
Procura
non
era
scontata.
Ed è
necessario
ripercorrere
le
fasi
cruciali
degli
accertamenti
per
capirlo,
tornando
ai
primi
mesi
del
2014.
A
Genova
è in
pieno,
e
segreto,
svolgimento
l’indagine
sugli
ex
manager
della
Cassa
di
risparmio,
che
porterà
all’arresto
del
banchiere
Giovanni
Berneschi
e di
altri
faccendieri,
sospettati
di
fare
la
cresta
su
una
serie
di
compravendite
immobiliari
per
trasferire
le
plusvalenze
in
una
banca
di
Lugano.
Fra
i
registi
delle
varie
schermature
c’è
un
commercialista
genovese,
Andrea
Vallebuona,
che
finirà
di
lì a
poco
in
manette.
È a
lui
che
Gino
Paoli,
senza
sapere
nulla
del
caso
Carige,
chiede
una
consulenza
su
tutt’altra
materia:
«Vorrei
riportare
in
Italia
dalla
Svizzera
due
milioni,
perlopiù
ricevuti
in
nero
alle
feste
dell’Unità».
L’artista,
che
fa
riferimento
in
modo
generico
«al
2008»,
non
può
sapere
che
la
stanza
è
piena
di
cimici
e
l’intera
conversazione
è
ascoltata
dai
finanzieri.
Sempre
Paoli,
lo
certificano
le
registrazioni,
è
timoroso
che
il
suo
nome
possa
trapelare,
essendo
al
tempo
in
via
di
definizione
un
concordato
con
l’Italia
sul
rientro
dei
capitali.
Ribadisce
di
avere
il
deposito
da
parecchio
e lo
preoccupano
in
primis
le
conseguenze
mediatiche;
anche
perché
- lo
sottolinea
- è
noto
come
un
personaggio
integerrimo
e in
passato
è
stato
parlamentare
eletto
come
indipendente
nelle
liste
del
Partito
Comunista.
Non
solo.
Al
colloquio
è
presente
la
moglie
Paola
Penzo,
che
pronuncia
una
frase
poi
contestata
nel
giorno
delle
perquisizioni:
«Queste
carte
-
dice
lei
riferendosi
alla
documentazione
portata
all’esame
del
consulente
- le
nascondiamo
in
un
luogo
sicuro».
L’avviso
di
garanzia,
notificato
al
cantante
e
alla
consorte
il
19
febbraio
2015,
lo
fa
dimettere
dalla
Siae,
cancella
un
paio
di
concerti
e
divide
persino
il
Movimento
cinque
stelle:
Beppe
Grillo
si
smarca
da
quello
che
definisce
un
«gioco
al
massacro
sui
giornali»
contro
un
suo
amico
storico,
ma
la
base
non
gradisce.
E
però
nel
seguito
dell’indagine
il
cantautore
sfodera
un
paio
di
jolly:
a
parte
ribadire
che
quello
dei
compensi
esentasse
per
certe
serate
era
un
sistema
«diffuso»,
precisando
fra
l’altro
come
non
fosse
lui
a
gestire
«in
prima
persona»
la
parte
finanziaria,
dimostra
che
alcune
operazioni
sul
conto
svizzero
sono
avvenute
ben
prima
del
2008
ed è
quindi
impossibile
fissare
in
quell’anno
la
«dichiarazione
infedele».
Risultato:
l’incertezza
sui
tempi
innesca
la
prescrizione,
il
pm
chiede
di
archiviare
tutto
e il
temutissimo
processo
penale
non
si
farà,
mentre
prosegue
la
definizione
delle
pendenze
(comunque
ridimensionate)
con
le
Entrate.
Articolo
di
Matteo
Indice
pubblicato
su
La
Stampa
il
31
luglio
2016 |