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Leo Alati

Non è vero che «è vietato portar via tronchi e ghiaia dai fiumi»

  la confluenza tra Dora Baltea e Po

Si può fare, ma bisogna chiedere l’autorizzazione. E gli ambientalisti non c’entrano nulla.

CRESCENTINO (u.l.) – Non pioveva da tanto, fino a qualche giorno fa. Ma d’autunno, appena piove («nelle pioggie di settembre, torrenziali e piangenti», pioggie con la i, come dice il poeta), tornano le preoccupazioni per l’innalzamento del livello dei fiumi. Anche a Crescentino, dove in passato il Po ha fatto vittime.
Ma siccome le tante fregnacce sull’argomento “manutenzione dei fiumi” che anni fa si sentivano solo nei peggiori bar di Crescentino oggi – grazie ai social, ai blog, ecc. – si diffondono anche in rete (oltre che in certi assessorati), è forse il caso di mettere qualche punto fermo.

I tronchi d’albero e la legna
Nell’alveo del Po, nei periodi di piena, si accumulano rami e tronchi d’albero che poi si fermano contro le arcate dei ponti o sui ghiaioni. Prima fregnaccia: «è vietato raccoglierli». Non è vero: se il legname è accatastato contro i ponti o è abbandonato nell’alveo, non c’è nessuna disposizione di legge che vieti di andarlo a raccogliere; la raccolta è libera e senza limitazioni di quantità. Bisogna solo comunicare preventivamente al Parco del Po quand’è che si vuole andare a prenderlo, magari con qualche mezzo per caricarlo. Cosa diversa sono gli alberi che – anche se nell’alveo del fiume – sono ancora radicati al terreno: quelli appartengono al proprietario del terreno, privato o pubblico che sia.
A corollario, c’è poi da dire che a meno di dieci metri dalla sponda del fiume è vietato piantare pioppi. E’ vietato perché le radici dei pioppi non sono fatte per resistere alle piene, e quando l’acqua arriva in grandi quantità strappa via le piante e le porta con sé (fin contro le arcate dei ponti, ecc.). Le piante adatte a costituire la fascia di vegetazione spondale sono salici e ontani, che – a differenza dei pioppi – hanno apparati radicali ben più resistenti.

La ghiaia, invece
L’altra fregnaccia che va per la maggiore è che «nel fiume c’è troppa ghiaia e, a differenza del passato, non la lasciano portare via». E se aggiungi «è colpa di quei bastardi di ambientalisti» (variante: «quegli stronzi dei Verdi»), nei peggiori bar di Crescentino trovi sicuramente qualcuno che ti stringe la mano e ti offre un caffè.
Dunque. Se si guardano le serie storiche dei livelli del fondo dell’alveo del Po, si nota che – nel corso degli anni – in alcuni tratti si è alzato e in altri si è abbassato. Il fiume, infatti, rimodella continuamente il proprio letto, e l’acqua sposta la ghiaia togliendone di qua e aggiungendone di là. E’ quindi opportuno – nell’interesse del fiume e di chi vive e lavora nelle aree fluviali – andare a togliere la ghiaia dove serve, non “a capocchia” o dove conviene ai cavatori.
Il soggetto che presiede ai prelievi di ghiaia dal Po è l’Autorità di bacino del fiume Po (e non il “Magistrato del Po” come scrivono certi commentatori da social: non esiste più da almeno quindici anni), che ha predisposto un “Programma generale di gestione dei sedimenti”, in più stralci. Nel nostro caso – province di Torino e Vercelli – bisogna attenersi allo stralcio del Programma che riguarda il tratto di fiume tra la confluenza della Stura di Lanzo alla confluenza del Tanaro. Si presenta un progetto (le società di escavazione hanno appositi uffici tecnici, e con la vendita del materiale estratto recuperano ampiamente le spese), la Regione convoca una conferenza dei servizi – a cui partecipa anche l’Aipo – al termine della quale l’intervento, se compatibile con il Programma, viene autorizzato in tutto o in parte. Per esempio nel 2012 una ditta di Casale ha presentato alla Regione Piemonte un progetto (rinaturazione con escavazione di oltre 900 mila metri cubi di ghiaia) riguardante la zona di confluenza tra Dora Baltea e Po, proprio a monte di Crescentino.

E’ chiaro quindi che sul fiume si può intervenire, però occorre farlo rispettando le norme. Siccome il fiume è un organismo vivo e complesso, gli interventi vengono valutati da appositi Enti (non dalla Legambiente o da Pro Natura…); enti che in proposito hanno anche predisposto interessanti pubblicazioni, come ad esempio questa:

dove si legge: “La necessità di «tener pulito» l’alveo viene da più parti segnalata come una necessità primaria alla quale il disalveo dello stesso viene, di conseguenza, associato senza precise valutazioni sugli effettivi vantaggi o svantaggi di tale tipologia di intervento in relazione alle dinamiche fluviali in atto e senza una valutazione dei volumi di materiale da asportare in rapporto alle potenzialità medie annue di trasporto solido”; è quindi “è necessario associare l’esigenza di trovare soluzioni alle numerose situazioni di criticità locale presenti lungo l’asta, non più singolarmente e separatamente ma all’interno di un disegno unitario”.

Lanciare appelli sui giornali (o andare a chiedere all’amico consigliere regionale) quindi non serve a nulla, se non ad avere un po’ di visibilità mediatica (e a salvarsi il fondoschiena in caso di disastro: «io l’avevo detto, non mi hanno ascoltato»): ma non risolve alcunché. Sarebbe più utile informarsi, studiare e sollecitare gli Enti nelle sedi opportune, soprattutto se si è amministratori pubblici: ma costa fatica e si vede poco.

Ultima cosa: i cosiddetti “Verdi” in Italia (e anche alla Regione Piemonte) hanno sempre avuto poca fortuna elettorale: 5%, quando andava bene. Non sufficiente per approvare le leggi e le norme criticate dai disinformati e faciloni opinionisti da bar.

Articolo pubblicato su lagazzetta.info il 18 settembre 2017

(24/8/2017)

 

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