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Leo Alati

Il gambero della Louisiana spaventa le risaie

Rosso, corazza robusta e chele appuntite assorbe sostanze tossiche e uccide i suoi simili

Il gambero killer è stato importato in Italia a scopi alimentari, in allevamenti inizialmente controllati. Poi i recinti si sono aperti e la specie si è riprodotta

 

Un’altra specie animale «aliena» rischia di minare l’ecosistema delle campagne vercellesi: il gambero rosso della Louisiana, che si è già guadagnato l’appellativo di «killer» per la sua insaziabile voracità. Era stato importato per scopi alimentari, falliti quando si è scoperto che è in grado di assorbire sostanze tossiche e uccide i suoi simili autoctoni. Così, dopo i cormorani, gli uccelli importati quasi 30 anni fa con la Guerra del Golfo, e le nutrie sudamericane, per le quali esisteva un progetto di lancio nell’industria delle pellicce, passate ben presto fuori moda, è giunto il momento di preoccuparsi per un altro esemplare che nulla c’entra con la fauna locale. È rosso, dalla corazza robusta e dalle chele particolarmente appuntite. Ma, soprattutto, è ghiotto di «uova anfibie - allerta Raffaella Pagano, responsabile dell’ufficio Biodiversità della Provincia di Vercelli -: l’habitat della rana è a serio rischio».  

 

Il gambero rosso della Louisiana si aggira tra le risaie e, soprattutto, nei fossetti che le delimitano. Numerosi avvistamenti sono avvenuti in diverse zone del Piemonte e in gran parte nella terra del riso: a Livorno Ferraris, a Trino e a Rive Vercellese. Qui siamo ai bordi della linea ferroviaria dismessa Vercelli-Casale Monferrato. Passeggiando sul lembo di terra di demarcazione, iniziano già a notarsi i resti del crostaceo, finito preda degli aironi, uno dei suoi pochi nemici in natura. Ma abbassando lo sguardo, in acqua, se ne scorgono altri, vivi e vegeti, a loro volta alla ricerca di cibo, di quelle uova che si devono trasformare in girini.  

 

Che i territori del Vercellese e del Novarese siano da sempre considerati la Louisiana d’Italia è noto per le caratteristiche simili della terra piatta e paludosa. «Il gambero è stato importato a scopi alimentari, in allevamenti inizialmente controllati - illustra Raffaella Pagano -. Così come con la nutria, poi, i recinti si sono aperti e la specie si è riprodotta». Quanto? «Il problema sussiste da pochi anni, tanto che è stato finora impossibile fare un censimento». Secondo la brochure distribuita dalla Regione Piemonte, l’apparenza inganna: «I killer sono ben diversi dall’unica specie piemontese di gambero da fiume - prosegue la dottoressa Pagano -. Quest’ultima è di colore bruno, ha una taglia più piccola che va dai 6 agli 8 centimetri, non inquina, non mette a repentaglio le specie autoctone e predilige l’acqua limpida. Il gambero della Louisiana è molto più grosso, arriva fino ai 20 centimetri di lunghezza, è squadrato e con spine, rende l’acqua torbida, favorisce la crescita di un’alga infestante, è portatore sano della peste del gambero che uccide la specie autoctona, depone fino a 500 uova l’anno, è resistente a tutto, anche agli inquinanti». 

 

C’è qualcuno, anche, che ha provato a mangiarli. Il sapore è praticamente identico a quello dei gamberi buoni, solo che quello della Louisiana è in grado di assorbire ogni sostanza tossica tipo nichel, piombo, zinco. La Regione ha diramato l’appello a non consumarli per nessuna ragione. Come combatterlo, a questo punto? «Si stanno provando gabbie contenitive e, in natura, ci sarebbe bisogno, oltre agli aironi, di reimmettere lucci ed anguille a volontà nei nostri corsi d’acqua».

Articolo di Stefano Fonsato pubblicato su La Stampa il 22 luglio 2016

 

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