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Leo Alati

La finta medicina che cura con i sogni

Sta per uscire l’autobiografia di Piero Angela, il più celebre divulgatore scientifico italiano. Dagli inizi a Torino alla critica delle pratiche alternative

 
 

Una tavola satirica del 1850 circa di Ch. Nanteuil intitolata «Méthode homœopathique (similia similibus)», che prende in giro la medicina del fondatore dell’omeopatia Samuel Hahnemann (1755-1843)

L’aspetto più preoccupante riguardo alle pseudoscienze è che hanno invaso sempre più il campo della medicina, in varie forme. (...) L’elenco è lunghissimo, e al suo interno c’è di tutto. Senza entrare nei dettagli, la cosa che colpisce è che certe persone preferiscano curarsi con queste terapie «alternative», non riconosciute come valide dalla scienza, anziché con quelle che hanno dimostrato la loro efficacia. Ma vi pare un comportamento sensato? (...) 

 

Le ragioni di questo comportamento sono le più varie, e anche i casi sono tra loro differenti. Ci sono persone che, per sentito dire, usano prodotti alla moda per «curare» disturbi leggeri o di tipo ciclico che probabilmente se ne andrebbero via da soli (mio padre, che era psichiatra, diceva che per questi disturbi funzionava bene l’Acp, «Aspetta Che Passi»). L’effetto placebo in queste situazioni fa naturalmente la sua parte (piccola parentesi per ricordare che l’effetto placebo esiste in tutte le terapie, e ancor più in quelle valide). All’opposto, esistono casi estremi, che presentano situazioni irrimediabili, in cui i pazienti spesso tentano di tutto, anche l’impossibile, per salvarsi. E sono disposti a rivolgersi a chiunque proponga una cura miracolosa. All’epoca del caso Di Bella, mi telefonò un amico che non sentivo da tempo, professore di Genetica all’Università di Torino: mi confidò che aveva metastasi ovunque e mi chiese se potevo procurargli un contatto con Di Bella. «Lo so, lo so, ma cosa vuoi che faccia nelle mie condizioni?».

Ci sono però altre persone che hanno malattie serie ma sulle quali è ancora possibile intervenire e che decidono di curarsi con terapie inefficaci anziché con quelle valide. Questi sono i casi più incomprensibili e più gravi. Qualche anno fa, un regista che aveva lavorato con me venne a chiedermi l’indirizzo di un bravo oncologo per un caso disperato di tumore al seno; gli chiesi quale fosse il problema e mi disse che sua cognata si era curata con l’omeopatia, ed era ormai terminale. Morì infatti poche settimane dopo. Un ostetrico, proprio in quel periodo, mi disse di aver visitato una signora anch’essa in gravissime condizioni per un tumore al collo dell’utero (un tumore guaribile nella maggior parte dei casi): si era curata con le erbe. Lei pure morì qualche tempo dopo.

 

Questi sono casi in cui l’uso di certe terapie «alternative» è criminale. Ed è soprattutto in questo campo che è necessario informare l’opinione pubblica sui rischi che si corrono se ci si lascia sedurre da cure «dolci», «non invasive», «naturali», che «non intossicano», che «sono osteggiate dalle multinazionali per ragioni di interessi», che «curano non il sintomo ma la persona», eccetera.

L’omeopatia 

Purtroppo i mezzi d’informazione, in generale, non si impegnano molto per combattere questi pseudofarmaci. E il paradosso è che chi cerca di farlo, come me, può trovarsi sul banco degli imputati! Infatti, per un servizio di «Super-Quark» - realizzato insieme a Giangi Poli - sull’inefficacia dell’omeopatia ebbi tre denunce per diffamazione da parte di medici omeopati. Le accuse principali erano due: aver detto che l’omeopatia era acqua fresca, e non aver fatto parlare i medici omeopati, in base alla regola della par condicio. Spiegai alla Corte in cosa consisteva l’omeopatia. Partendo da una sostanza ritenuta (dagli omeopati) simile a quella che ha provocato la malattia, si procede a una serie di diluizioni. In un contenitore si mettono 99 parti di acqua e una sola parte di questa sostanza «attiva». Poi si agita verticalmente 100 volte. A quel punto si getta via il 99 per cento del contenuto, e lo si riempie nuovamente con altra acqua.

 

Quindi la sostanza iniziale da una parte su cento si riduce a una parte su diecimila, cioè a un decimillesimo. Poi si ripete l’operazione una seconda volta, una terza, una quarta, e così via, sempre gettando il 99 per cento della soluzione e tornando a riempire il contenitore di acqua. Da un decimillesimo si passa quindi a un milionesimo di sostanza attiva, poi a un centomilionesimo, a un decimiliardesimo. Alla tredicesima diluizione non esiste più staticamente una sola molecola della sostanza iniziale. E si continua ancora a diluire: 14, 15, 20, 30, 40, 50, 60, 120 volte. A quel punto non esiste più alcuna molecola che sia stata in contatto non solo con la sostanza attiva, ma neppure con l’acqua che era stata a contatto con lei.

 

Insomma, «acqua fresca» (devo dire che la definizione nel servizio non era mia, ma di un illustre immunologo). Ed è quest’acqua che costituisce il farmaco miracoloso per curare i malati! Ci furono in tutto cinque processi, compresi i ricorsi. (...) Fui interrogato a lungo, e portai una documentazione probante: rapporti scientifici internazionali di grande autorevolezza e dichiarazioni di personalità del mondo della ricerca medica quali i professori Umberto Veronesi, Silvio Garattini, Alberto Mantovani, ma anche due interventi di premi Nobel, che mi felicitavano per il servizio e che furono decisamente drastici nel giudizio sull’omeopatia: Rita Levi Montalcini («Una non cura, potenzialmente pericolosa, perché sottrae i pazienti da cure valide») e Renato Dulbecco («Pasticci senza valore alcuno»). Con questo volume di fuoco era difficile perdere la causa, anche se in uno dei processi il pubblico ministero, contrariamente agli altri che chiedevano la mia assoluzione, mi attaccò con notevole virulenza. Scoprii dopo (me lo disse lui stesso) che si curava con l’omeopatia, e così pure la sua famiglia. Meno male che non era il giudice!

 

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