Responsabile

Leo Alati

La delusione dei grillini è Chiara

Comitati contro la “sindaca più amata d’Italia”. «Ci ha usati in campagna elettorale e poi si è dimenticata di noi». Perlustrazione nel mondo pentastellato di Torino che si sente «pugnalato da Appendino»

La fortuna di Chiara Appendino ha il nome di Virginia Raggi, e questo è noto. Lo ha certificato anche l’indagine Ipr Marketing del Sole 24 Ore, mettendo le due all’apice e al fondo della classifica dei “sindaci più amati”. Ma se si supera la coltre mediatica che oggi fa da involucro e scudo al primo cittadino di Torino – che nell’inevitabile raffronto con la collega romana fa la figura della statista – e ci si avvicina un poco a ciò che accade sotto la Mole, ecco che qualcosa nella prospettiva cambia. Perché allora ci si accorge che nemmeno il grillismo in salsa sabauda, così garbato e posato, è in buona salute, anzi.

Certo, Appendino è gentile e scaltra, sa parlare, muoversi in pubblico ed è anni luce lontana dall’istrionico e un po’ pauroso ghigno del fondatore pentastellato o dalle movenze cheguevariane di un Battista o una Lombardi. La ragazza che ha lavorato alla Juventus non sbaglia i congiuntivi, non parla di Pinochet venezuelani, sa che in città l’esageruma nen è un motto morale da applicare in ogni occasione e di fronte a ogni inghippo. Eppure qualcosa si sta incrinando se a Torino, ogni giorno che passa, su di lei aumentano i dubbi.

Una fuliggine d’incertezza che non avvolge tanto il cerchio strettissimo dei consiglieri di maggioranza – tutti zitti e mosca in attesa dell’oracolare blog – e nemmeno nel cerchio ampio del consenso generale e d’opinione, cioè fra chi l’ha votata solo per alzare un dito medio contro tutto e tutti, ma nello stadio intermedio, quello popolato dai comitati e dalle associazioni, ecco, sta lì la grana per Appendino. Il risentimento cova fra la militanza della campagna elettorale, tra chi si è mosso, ha brigato, attacchinato manifesti, distribuito volantini, bussato porta a porta.

Un numero di persone altamente motivate, consapevoli dei propri interessi e della propria scelta, che ha gratuitamente speso tempo per l’“alternativa Chiara”. È fra loro, in questa zona intermedia tra gli eletti e l’elettorato d’opinione sfanculista a prescindere, che s’è attizzato il fuoco del malcontento. Ed è qui che è interessante puntare il riflettore, perché è qui che si dimostra come il grillismo non sia una buona idea applicabile male, ma una disdetta utopica fin dalle premesse. La quale, se è coerente con se stessa (Roma), non funziona; se non lo è (Torino), non funziona lo stesso.

Il 21 gennaio qualche centinaio di persone si è ritrovato per rendere manifesta la propria delusione nei confronti del sindaco. La parola (“delusione”) non è stata scelta a caso, «perché – ci racconta una delle partecipanti – abbiamo discusso a lungo se definirci “delusi” o “indignati”, preferendo infine la prima formulazione, giusto per non dare immediatamente l’impressione di una chiusura». Che fosse l’una o l’altra resta comunque il fatto che all’incontro erano presenti i rappresentanti di tutte quelle realtà che, pur formalmente apartitiche e apolitiche, avevano guardato ai cinquestelle come il piede di porco per scassinare il sistema e portare a compimento le proprie aspettative e richieste. Un mondo composito e tenace, con le radici a sinistra che, ormai deluso dalle amministrazioni Chiamparino e Fassino, ha visto nella rivoluzione pentastellata il nuovo sol dell’avvenire.

Il semestre nero
«Ci sarà un motivo se Torino è la città con più comitati civici, no?», chiede retoricamente un altro parlando con Tempi. «La maggior parte sono nati negli ultimi quindici anni e, a occhio e croce, raccogliamo tra i dieci e i dodicimila cittadini». In tempi in cui i partiti non hanno più presa sull’elettorato diffuso, sono loro gli opinion maker che, dal basso, creano consenso. «Siamo torinesi stanchi di pagare per i disastri delle Olimpiadi del 2006 e per una gestione della città che reputiamo pessima». Fra di loro c’è di tutto: dai centri sociali alle associazioni ambientaliste, dai comitati per l’acqua pubblica a quelli che si oppongono agli sfratti, e poi i tanti sorti intorno a problemi specifici: lo zoo, l’area Westinghouse, la Cavallerizza, il passante di Corso Grosseto.

Errori madornali
All’incontro di gennaio Appendino non s’è presentata, «come fa sempre quando sa di non ricevere applausi», maligna un presente, ma ha mandato, a testimonianza dell’importanza data dai cinquestelle all’evento, il vicesindaco Guido Montanari, gli assessori Stefania Giannuzzi e Marco Giusta e quasi tutto il gruppo consiliare. Non è stata una serata facile per loro. I comitati hanno detto loro chiaro e tondo che così non va, parlando esplicitamente di «semestre nero». «La definizione è mia – dice a Tempi Emilio Soave, vicepresidente di Pro Natura – e rispecchia una convinzione comune a tutti: è vero, come ci ha ricordato Montanari, che il bilancio era già scritto e che i margini di manovra erano stretti, ma loro hanno praticamente convalidato tutti gli indirizzi della precedente amministrazione». «Hanno fatto pure peggio – attacca Nicolangelo Miletto del comitato Cit Turin –, accelerando su provvedimenti che in campagna elettorale avevano promesso di smantellare».

Qui si capisce lo sconforto dei comitati. Non sono stati solo blanditi e accarezzati: prima del ballottaggio molti dei loro rappresentanti hanno scritto il programma cinquestelle con la promessa, appena insediati, di trasformare con un colpo di bacchetta magica le zucche in carrozze e i topini in cavalli. «Io – racconta a Tempi Mariangela Rosolen del Comitato Acqua Pubblica – ho partecipato alle loro riunioni, ho raccolto con loro le firme, ho condotto con loro tante battaglie sul tema idrico, criticando strenuamente la scelta della giunta Pd di considerare l’acqua una merce. E ora che comandano loro che accade? Accade che il sindaco chiede di incassare, senza riuscirci, un dividendo di cinque milioni di euro dalla Smat, la società delle reti idriche della provincia, e vedo approvare provvedimenti che, fino al giorno prima, contestavano. Ecco, mi sento pugnalata. E pensare che quando era all’opposizione, Appendino ha sempre sostenuto in consiglio comunale le nostre istanze, ora invece compie questi errori madornali».

Il caso più clamoroso è costituito dalla gestione dell’area ex Westinghouse-Nebiolo che ai tempi della campagna elettorale era per i grillini un vero e proprio cavallo di battaglia. Incontri, picchetti, manifestazioni per dire “no” a un progetto che prevede la costruzione di un centro commerciale a ridosso del quartiere San Paolo. «Un progetto – spiega Miletto – che andrebbe a distruggere quel poco di verde che rimane nella zona. Erano stati proprio i cinquestelle a mobilitare la base della protesta e a preparare una serie di correzioni da apportare all’intervento». Invece, poi, hanno dato il via libera così da poter iscrivere a bilancio 19 milioni di euro di derivati dai relativi oneri di urbanizzazione. «Con la scusa del danno erariale, stanno realizzando esattamente quel che voleva il Pd», aggiunge Miletto. «E il vantaggio dell’incasso dell’onere di urbanizzazione è proprio quello che, fino a pochi mesi fa, rinfacciavano a Fassino», gli fa eco Soave.

 

«Realizzano il nostro programma»
È finito l’incanto. E anche se la gradazione della delusione ha diversi colori, le sfumature vanno tutte dal grigio al nero. Se, poi, alle mancate promesse s’aggiunge l’esplosiva intendenza col “nemico”, l’effetto Chernobyl è garantito. Luisa Avetto, Comitato No-Zoo Michelotti, lo esprime così: «Eravamo fiduciosi nel M5S perché gli altri parlavano e non facevano niente, mentre loro ci sostenevano con interrogazioni, mozioni, manifestazioni». Anche su questa vicenda, il M5S si è rimangiato la parola. Gli animalisti hanno scritto una lettera aperta a Beppe Grillo. Niente. «Siamo delusi, io ho votato M5S, ma li vedo poco coraggiosi. Dicono che ora devono giocoforza comportarsi così e che le cose cambieranno nel 2018, ma io non posso fare a meno di chiedermi che differenza ci sia col passato». Dario Segato, portavoce del Comitato Civico Snia Rischiosa, descrive Torino come una «città mediorientale bombardata, dove si è costretti a fare lo slalom tra cantieri che non saranno mai completati». Ad oggi, dice, non è successo nulla, anche se ha registrato «una giunta disponibile a incontri come non prima. Ci dicono che hanno problemi di bilancio e di penali da pagare se non completano i cantieri».

Ma la cosa sta precipitando se, soprattutto tra le frange più vicine ai centri sociali, si inizia a ragionare apertamente di manifestazioni pubbliche contro il sindaco e se tutti ormai prendono per vera una battuta circolante fra i consiglieri del Pd: «Che bravi questi grillini, stanno realizzando il nostro programma». Al di là degli spifferi di palazzo, dell’ingenuità palese di qualche esponente dei comitati e dell’oggettivo problema per qualsiasi sindaco italiano di far quadrare oggi i bilanci, la Torino pentastellata arranca. Pare quasi l’altra faccia della medaglia di quella romana. Anzi, dal punto di vista dei grillini, è pure peggio: «Raggi, almeno, è coerente con quanto aveva promesso».

Il vecchio prodotto sullo scaffale
Ci sono poi due temi che continuamente ritornano nelle riflessioni di questi cittadini. Il primo, come spiega Miletto parlando dei politici M5S: «Hanno competenza superficiale dei problemi. Danno sempre una sensazione di pressapochismo. Alla fine mi viene da dire che hanno usato i comitati per informarsi, oltre al web, su quali siano le problematiche cittadine, ma poi ci hanno dimenticati».

Il secondo. La retorica dell’uno vale uno, della trasparenza, della vicinanza ai bisogni della gente, che fine ha fatto? «La nostra sensazione – dice Miletto – è che con noi spendono tante parole, ma le decisioni sono prese da altri, in senso verticistico e isolato. Appendino è certamente una buona donna di marketing, ma finora ha cercato di vendere il vecchio prodotto che ha trovato sullo scaffale». «Da quando sono stati eletti – lamenta Rosolen – è diventato più difficile parlarci, quasi impossibile prendere un appuntamento». «Tradito? Non userei un’espressione così forte – chiosa Soave –, ma certo sono state disattese numerose promesse e, per ora, c’è assoluta continuità con le amministrazioni precedenti. Con l’aggravante di pensare che Torino possa essere gestita da un tizio di Genova, dai suoi clic e dal suo algoritmo».

 

© 2012 La Risaia   La voce dei riformisti vercellesi

Webmaster & Design by Francesco Alati

Home