Spunta il Craxi anti-Pinochet
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Un'immagine di Bettino Craxi, leader socialista ed
ex presidente del Consiglio, morto dieci anni fa ad
Hammamet |
«Diedi soldi ai militanti cileni». Le rivelazioni in un
documento presentato ieri
Di quei soldi Bettino Craxi non parlò mai in pubblico,
neppure una volta. Di quelle tangenti che lui aveva
«girato» negli anni a una gran quantità di partiti e di
movimenti di liberazione in giro per il mondo, l’ex
leader socialista parlava soltanto con i figli, con i
compagni di una vita.
Fece un’eccezione nel dicembre del 1999. Craxi era
reduce da una brutta operazione e durante quella
dolorosa convalescenza ad Hammamet era andato a trovarlo
Francesco Cossiga. E il contenuto di quel colloquio l’ex
Capo dello Stato rivelò in una intervista
semiclandestina a Raisat Extra: «A un certo punto gli
dissi: caro Bettino, io so a chi è andata una fetta di
denari prodotti dal finanziamento.... E lui, davanti al
caminetto, me lo ricordo con la coperta, mi rispose: “Io
non posso mischiare le mie vicende giudiziarie con
grandi cause di libertà e di liberazione”». Ma ora, per
la prima volta, di quel cospicuo flusso di denaro
«sporco» a sostegno di cause di libertà, di partiti
clandestini e di movimenti di liberazione, si sa
qualcosa di più: nel corso di una lunga chiacchierata -
ben 18 ore di girato, che Craxi fece nella casa di
Hammamet con Luca Josi - l’ex presidente del Consiglio
raccontò diversi dettagli di quel filone: «Per molto
tempo aiutammo i socialisti spagnoli in clandestinità»,
«i portoghesi», «aiutai alcuni compagni cileni a
salvarsi dalle grinfie della dittatura».
E finanziamenti, racconta Bettino, andarono all’Olp, a
movimenti dell’America Latina, persino ai somali contro
gli eritrei. E con un filo di autoironia Craxi chiosa:
«Beh, una parte del nostro finanziamento illegale andò a
movimenti e a personalità che lottavano per la libertà,
ma certo non utilizzavamo la Banca d’Italia per
trasmettere loro del denaro, non veniva emessa regolare
fattura...». Il racconto su questo tipo di finanziamenti
fa parte della lunga intervista rilasciata nel 1997 da
Craxi a Josi, che è entrata a far parte del documentario
di 45 minuti che è stato proiettato ieri sera al Cinema
Capranica di Roma alla presenza di amici e di politici,
mentre un’altra parte del registrato farà parte del
libro-dvd «Craxiana» che Josi pubblicherà in aprile. Ma
oltre ai movimenti ricordati da Craxi nell’intervista,
il Psi ne aiutò molti altri. E anche assai
significativi, come racconta Cossiga nel suo libro
«Italiani sono sempre gli altri» e come ricorda il
figlio Bobo: ebbero aiuti Solidarnosc, il sindacato
polacco cattolico e anticomunista, gli esuli
cecoslovacchi, il radicale argentino Alfonsin, il
brasiliano Lula, il peruviano Garcia, l’uruguagio
Sanguinetti, Perez in Venezuela.
Dunque aiuti a movimenti antifascisti e anticomunisti,
ma - ecco la sorpresa del Craxi «garibaldino» - anche a
movimenti guerriglieri di ispirazione comunista (ma
anti-Usa) dell’America Latina, come i Sandinisti o il
Farabundo Martí. Nel 1973, poco dopo il golpe di
Pinochet, l’allora sconosciuto Craxi andò in Cile alla
ricerca della tomba del socialista Salvador Allende, ma
nel cimitero di Santiago fu fermato da un poliziotto,
che gli intimò di andarsene con queste parole: «Un altro
passo e sparo». Ha raccontato Antonio Ghirelli,
portavoce del Craxi premier, nel film «La mia vita è
stata una corsa»: «Appena divenne presidente del
Consiglio, volle andare a Buenos Aires: ricordo
un’immensa sala, dove c’erano sindacalisti di tutti i
paesi del Sud America.
Chiesi a un compagno argentino: “Come mai fate tanta
festa a Craxi?”. E lui: “Come mai? Ma sono dieci anni
che questo ci aiuta politicamente e finanziariamente”.
Quando arrivò Bettino ci fu una standing ovation che
durò tre minuti. Alla fine, per dire che tipo era
Bettino, andai da lui e gli chiesi: “Posso parlarle?”. E
lui: “Ma no, lascia perdere”». E negli ultimi tempi
della sua vita, al figlio Bobo che gli chiedeva perché
non parlarne pubblicamente, lui rispose: «Non ho detto
nulla di quei soldi, quando li ho dati per cause di
libertà: vorresti che lo rivelassi adesso, per farmi
bello e difendermi?». E al suo avvocato Giannino Guiso
vietò di parlarne, nonostante si fosse offerto di dare
testimonianza di quegli aiuti sotto banco un personaggio
conosciuto in tutto il mondo: Lech Walesa.
Articolo di
FABIO MARTINI pubblicato su La Stampa del 15 gennaio
2010
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