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Leo Alati

Eravamo i primi produttori mondiali, dopo mezzo secolo l’Italia torna a coltivare la canapa

È una pianta utilizzata per la produzione di carta e tessuti. Ma ha un ruolo importante anche nel settore della cosmetica e dell’edilizia. Fornisce oli, cordame, combustibile, persino alimenti. La Camera approva una legge per riprendere la coltivazione

È una pianta che può essere utilizzata per la produzione di carta e tessuti. Ma ha un ruolo importante anche nel settore della cosmetica e dell’edilizia. Fornisce oli, cordame, combustibile, persino alimenti: i suoi semi hanno qualità nutrizionali come pochi al mondo. Dopo aver abbandonato le coltivazioni per oltre mezzo secolo, adesso l’Italia torna a investire nella canapa industriale. Pochi giorni fa la commissione Agricoltura di Montecitorio ha approvato in sede legislativa una proposta di legge sulla coltivazione e la trasformazione di questo vegetale.

Agli inizi del Novecento eravamo tra i primi produttori mondiali. Nel 1940 l’Italia dedicava alla coltura della canapa 90mila ettari del proprio territorio. «Producevamo più canapa di quanto se ne produce oggi in tutto il mondo, con 85mila ettari al 2011 a livello globale»

Per la nostra economia è un ritorno al passato. «Un passaggio decisivo per restituire all’Italia, dopo 60 anni, un settore economico radicato nella nostra identità storica» racconta Loredana Lupo, professione agronomo, la deputata grillina prima firmataria del testo approvato. Agli inizi del Novecento eravamo tra i primi produttori mondiali. Nel 1940 l’Italia dedicava alla coltura della canapa 90mila ettari del proprio territorio. «Producevamo più canapa di quanto se ne produce oggi in tutto il mondo, con 85mila ettari a livello globale». Poi l’oblio. L’intensità di lavoro richiesta dalla coltivazione, ma soprattutto l’arrivo di più economiche fibre sintetiche dagli Stati Uniti, come il nylon, hanno portato ad abbandonare la coltivazione della canapa da fibra. La confusione generata da successivi interventi normativi antidroga ha finito per far dimenticare questa risorsa naturale.

Ma non ovunque è successo lo stesso. «Negli anni più recenti - scrive il Servizio Studi della Camera - la filiera produttiva della canapa, dopo un lungo periodo di blocco della produzione, sta suscitando nuovo interesse a seguito dell’aumento del prezzo del petrolio e di una maggiore attenzione per la tutela dell’ambiente». La coltivazione è ripresa in molti paesi europei. In Inghilterra, Germania, Polonia, Romania si è tornati a investire sulle canapa industriale già dagli anni Novanta. In Francia le colture non sono mai cessate. Ecco perché Oltralpe sono divenuti i leader europei del settore. Su 20mila ettari coltivati a canapa in tutto il continente, più di 11mila sono francesi (segue la Germania con 2500 ettari e il Regno Unito con 1.500). E noi siamo rimasti indietro. «L’interruzione per oltre cinquanta anni nella coltivazione e della trasformazione della canapa - scrive il deputato di Sinistra Italiana Adriano Zaccagnini, firmatario di un’altra proposta di legge - è stata causa di un pesante gap tecnologico sia nella genetica, settore in cui l’Italia aveva in passato primeggiato, sia per quanto concerne i macchinari agricoli e quelli per la prima trasformazione».

La norma aumenta la percentuale consentita di Thc, che passa dallo 0,2 per cento allo 0,6 per cento. Si tratta del tetraidrocannabinolo, l’agente psicotropo della cannabis, ma anche la sostanza che rende la pianta più resistente agli attacchi di insetti e microrganismi

Adesso il Parlamento interviene. Le quattro proposte di legge presentate in materia hanno dato vita a un testo unificato di dieci articoli, approvato alla Camera. Nelle prossime settimane la parola passerà al Senato. «Oggi portiamo a casa una nuova legge al servizio dell’agricoltura e di una delle filiere produttive strategiche per lo sviluppo di numerose aree del nostro Paese» festeggiano i grillini, che per primi hanno depositato un testo di legge. «È una rivoluzione culturale». Un’altra proposta è stata depositata dal Partito democratico. Gli esponenti dem Nicodemo Oliverio e Alessandra Terrosi, relatrice del provvedimento, insistono: «È una risposta concreta a un settore andato in crisi soprattutto per la politica aggressiva delle multinazionali, a cui si è aggiunta una normativa antidroga accompagnata dal convincimento errato che la coltivazione della canapa industriale fosse del tutto vietata. Dobbiamo sostenere gli imprenditori che vogliono investire in questo settore».

Adesso il Parlamento interviene. Le quattro proposte di legge presentate in materia hanno dato vita a un testo unificato di dieci articoli, approvato alla Camera. Nelle prossime settimane la parola passerà al Senato

Sono due le principali novità della legge. Anzitutto i fondi: vengono stanziati 700mila euro l’anno per gli impianti di trasformazione. Oggi in Italia ce ne sono solo due, uno a Taranto e uno a Torino. «Dando questo strumento agli agricoltori - spiega la grillina Lupo - si dà loro la possibilità di avviare autonomamente una vera e propria filiera produttiva, dalla coltivazione alla raccolta fino alla trasformazione». Non solo. La norma aumenta la percentuale consentita di Thc, che passa dallo 0,2 per cento allo 0,6 per cento. Si tratta del tetraidrocannabinolo, l’agente psicotropo della cannabis, ma anche la sostanza che rende la pianta più resistente agli attacchi di insetti e microrganismi. Del resto, come spiega il dossier della Camera, «anche la canapa a fibre, utilizzata per scopi industriali, appartiene tuttavia alla Cannabis, specie di cui fa parte la canapa stupefacente, dalla quale la canapa industriale differisce per alcune caratteristiche morfologiche e per un basso tenore di tetraidrocannabinolo». La concentrazione di Thc dipende dalle condizioni climatiche in cui viene fatta crescere la pianta, soprattutto dalla sua esposizione alla luce. «Un’oscillazione minima come questa - continua Loredana Lupo - garantirà agli agricoltori del Sud di non veder sequestrato il raccolto solo perché le loro coltivazioni hanno un’esposizione più assolata».

Articolo di Marco Sarti pubblicato su linkiesta.it  il 20 Novembre 2015

(21 novembre 2015)

 

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