C'era una volta l'Italia.
Nunziante Mastrolia
A me sembra che agli occhi di una parte del mondo
l’Italia abbia un peccato originale da scontare: quello di
essere nata.
Gli accordi che a Plombières nel luglio del 1858 Napoleone
III impose a Cavour erano chiari. Si trattava di creare una
confederazione di Stati, con un regno del nord, uno del
centro, il regno della due Sicilie, e il papato a cui
sarebbe spettata la presidenza onoraria. Una confederazione
dunque, non uno Stato unitario.
L’idea dell’imperatore dei francesi era semplice: strappare
la camicia di forza imposta alla Francia con il Congresso di
Vienna e ridurre in Italia l’influenza austriaca a vantaggio
di quella francese.
Detto altrimenti, l’Italia non avrebbe dovuto nascere.
Sarebbe dovuta restare una pura espressione geografica, come
voleva Metternich, ma sotto l'influenza di Parigi, al posto
di quella di Vienna.
Fu il genio di Cavour a fare in modo che le cose andassero
diversamente: sguinzagliò "a sua insaputa" Garibaldi, fece
balenare nelle cancellerie europee la minaccia di una
unificazione democratica dell’Italia, che avrebbe rischiato
di riaccendere la miccia del ’48 in tutta Europa e di fatto
imposte come soluzione moderata (come male minore)
l’unificazione sotto i Savoia.
Nasce così, contro ogni previsione, uno Stato unitario. E
non solo l’Italia vede la luce, ma ben presto inizia a fare
tutto tranne che essere una pura espressione geografica.
Miracolosamente inizia a crescere, a rafforzarsi, a
svilupparsi e a fare una sua politica estera autonoma e
indipendente. È l’Italia di Crispi, di Giolitti, che ha una
sua legazione in Cina, partecipa alla repressione della
rivolta dei Boxer, conquista la Libia per rifarsi della
sottrazione della Tunisia da parte della Francia.
Il fascismo ci porta a schiantarci nella seconda guerra
mondiale. Siamo un paese sconfitto, il nastro si riavvolge.
Il trattato di pace è punitivo e il ruolo che viene
assegnato al paese è quello di una semplice portaerei nel
Mediterraneo.
Eppure… eppure la resistenza dei civili, dei militari,
del PCI, del PSI, dei laici e dei cattolici (resistenza di
cui non vi è traccia in Germania e in Giappone), permettono
a De Gasperi di andare a testa alta. Una classe politica di
prim’ordine fa in modo che questo paese non subisca la
stessa sorte degli altri grandi sconfitti.
A differenza della Germania, l’Italia non sarà divisa e
smembrata. A differenza del Giappone, non sarà governata da
una costituzione imposta dalle forze di occupazione
americane. L’Italia, nonostante tutto, resterà unita, si
darà una sua originale costituzione, che i suoi cittadini
difenderanno sempre dai tentativi di stravolgerla.
E non solo l’Italia resta unita e si autogoverna, ma inizia
a rompere da subito gli schemi imposti dalla sconfitta
bellica e dal quadro internazionale.
Mattei con l’Eni inizia a fare una sua politica estera
per dare al paese il carburante necessario per il boom
economico. Andreotti, Moro, Nenni, Craxi imposteranno una
autonoma politica estera di livello globale, fatta di una
forte solidarietà atlantica ed europea (si pensi
all’istallazione dei missili Cruise e Pershing voluta da
Craxi) e ma anche autonoma ed indipendente (si pensi a
Sigonella).
Lo stesso discorso vale per il PCI. Sia Togliatti che
Berlinguer non fecero del Partito Comunista un partito alle
dipendenze di Mosca, ma gli diedero una connotazione
nazionale, anzi italiana. In questo senso, sia il Memoriale
di Yalta, sia l'attentato in Bulgaria a Berlinguer.
E non solo in politica estera: il PCI non assume un ruolo
settario e cospiratorio, diventa scuola di democrazia,
legando le masse alla difesa delle libertà repubblicane,
diventa forza di emancipazione sociale e politica. Così
anche il Partito Socialista che anzi va al governo.
Nonostante fortissime pressioni esterne si avvia il primo
centro-sinistra di Moro e Nenni, presto depotenziato. Ma poi
ne arriva un secondo, quello di Moro e Berlinguer: è la
solidarietà nazionale che consente al paese di vincere il
terrorismo e la crisi economica. Entriamo nel G7 e gli
organismi internazionali come il FMI prospettano per
il'Italia un futuro radioso: prima economia europea
nell'arco di un decennio.
Ma quando il Muro di Berlino crolla, tutto cambia…
Ovviamente la storia della prima Repubblica non è tutta
fatta di sole luci. Nelle ombre di un sistema politicamente
bloccato prosperava la corruzione. Di scheletri nell’armadio
ce ne sono tanti e dappertutto. Questo è noto a tanti. Di
sterpaglie era pieno il sottobosco e qualcuno ha avuto
interesse a lanciare un fiammifero per dare fuoco alle
secolari divisioni italiane. È un caso che i cognomi più
diffusi siano Rossi, Bianchi, Veri, Neri? Indicano le
fazioni, spesso in lotta tra loro.
Ora, le prove di quello che sto per dire ovviamente io non
ce le ho. Io non conosco i nomi, nè ho qualche pezza da
appoggio da esibire. E’ un semplice ragionamento.
Quando il Muro di Berlino crolla, è probabile che più di
qualcuno nelle cancellerie europee o oltreoceano abbia
pensato che era tempo di far pagare questa autonomia ed
indipendenza all’Italia e farla ritornare a quella pura
espressione geografica che avrebbe dovuto essere e che era
stata per secoli.
Senza il Muro, la macchina della giustizia, fino ad allora
bloccata, viene sbloccata. Iniziano i processi a Milano per
corruzione e a Palermo contro Andreotti per mafia. Da questo
accerchiamento non solo la prima Repubblica non ne uscirà
viva, ma tutta la storia repubblicana viene criminalizzata.
Di quella stagione molti penseranno di approfittarne: una
parte della sinistra vi vedrà l’occasione per superare
definitivamente la conventio ad excludendum, una parte della
magistratura vi vedrà l’occasione per fare del XXI il secolo
del potere giudiziario, Berlusconi vi vedrà l’occasione per
la conquista del poter politico.
Per anni continueremo ad accapigliarci su toghe rosse,
gioiose macchine da guerra, comunisti che mangiano i
bambini, derive autoritarie e telecrazia, ma come i capponi
di Renzo ci perderemo tutti.
Gli effetti di quei movimenti tettonici sono infatti
molteplici e possenti: l’eliminazione di una classe politica
che sapeva ragionare in termini di interesse nazionale e
sapeva difendere quegli interessi; la criminalizzazione di
tutta la storia repubblicana, togliendo così qualsiasi
radice storica all’intero mondo politico nazionale; la
criminalizzazione delle grandi culture politiche prodotte da
questo paese, eliminando così qualsiasi radice ideale alla
classe politica che verrà dopo Tangentopoli.
Il risultato è una classe politica senza radici, esposta (a
parte poche eccezioni) al vento delle mode. Dopo di allora,
prolifereranno partiti con sigle insignificanti e ridicole
nelle quali non vi è alcun richiamo a quelle culture
politiche che pure governando l’Europa.
E’ così che l’Italia si stacca dalla storia europea. Ma c’è
di più.
Una classe politica senza radici, che vive l’azione politica
come l’espiazione di una colpa, per giunta non sua, o come
il continuo inseguimento, per dirsi moderni, di obbiettivi
posti e decisi da altri, non può che accettare passivamente
un processo di integrazione europea impostato in termini per
noi svantaggiosi (Maastricht e il cambio lira-euro), non può
che accettare l'internazionalizzazione del debito con grande
leggerezza e non può che accettare senza batter ciglio un
processo di privatizzazione delle imprese pubbliche che si
rivela un disastro.
Con la svendita del patrimonio pubblico infatti, il
sistema industriale italiano viene privato degli attori che
producevano quei beni di pubblica utilità che il mondo delle
piccole e medie imprese (che sono la maggioranza) non è in
grado di produrre: ricerca scientifica ed innovazione
tecnologica, e prodotti di base. In altri termini, le
privatizzazioni privano l'Italia delle leve per una crescita
autopropulsiva di lungo periodo. Non è un caso che da allora
l’Italia abbia smesso di crescere e non è un caso che da
allora l’Italia sia diventata terra di conquista.
Anche a livello di politica estera le conseguenze sono
enormi, con l’abbandono delle politiche di integrazione con
la sponda Sud del Mediterraneo, con il naufragio totale del
processo di Barcellona e il partenariato Euro-Med, con
l'abbandono di ogni forma di cooperazione con i Sud del
mondo. Tutto viene sostituito con quell’allargamento a Est
che è funzionale agli interessi tedeschi e non italiani, e
che, ironia della sorte o beffa nazionale, fu fatto condurre
ad un italiano, allora a capo della Commissione europea.
I risultati di quel processo iniziato con Tangentopoli li
vediamo ora. Galli della Loggia lo ha scritto come meglio
non si potrebbe il primo agosto scorso: siamo soli, non
abbiamo alleati. La Spagna ha un asse privilegiato con la
Germania: buona parte del debito spagnolo è in mano tedesca.
Mentre quella cooperazione rafforzata che De Gasperi ed
Adenauer avevano impostato tra Italia e Germania - come
faceva notare Enrico Letta sul Corriere - è ormai saltata.
Che ci resta? L’Inghilterra rischia di andare alla deriva
nell’Atlantico. Gli Stati Uniti forse stanno tentando di
darci una mano, nel tentativo di frenare i guasti prodotti
da Londra e Parigi.
Con la stessa boria neocoloniale farlocca mostrata a Suez
nel 1956, Francia ed Inghilterra prima hanno bombardato la
Libia, poi se ne sono lavati le mani della ricostruzione,
limitandosi a fare affari e mestare nel torbido. Stessa cosa
vale per le opacità del ruolo inglese nel caso di Giulio
Regeni (spedito in Egitto dall’università di Cambridge) che
ha prodotto tre effetti disastrosi.
Il primo, irreparabile, drammatico la bestiale uccisione di
un giovane studioso e dei suoi entusiasmi; il secondo,
l’estromissione dell’Italia dall’Egitto e quindi
l’indebolimento della nostra posizione in Libia; il terzo,
l’umiliazione dell’Italia quando ha dovuto ingoiare il rospo
e far ritornare l’ambasciatore al Cairo.
Qui forse, si coglie il tentativo di Washington di darci una
mano. Obama (vedremo Trump) riconosceva un ruolo speciale
all’Italia in Libia e forse anche l’imbeccata americana, di
cui dava conto il New York Times qualche giorno fa,
all’Italia sulle responsabilità dei servizi segreti egiziani
nella morte di Giulio Regeni non è un caso e potrebbe essere
letta come il tentativo americano di sostenere la posizione
italiana in Nord Africa. Ma sono solo segnali.
Sta di fatto che ad oggi siamo soli. Siamo anzi in una
condizione di “subalternità ed irrilevanza”, come scrive
Galli della Loggia. Lo si è visto nel caso Fincantieri-STX.
Dal 2006 al 2016 imprese francesi hanno fatto acquisti per
54 miliardi di euro in Italia, a fronte dei 7 fatti da
imprese italiane nell’Esagono. Nonostante ciò, quando
Fincantieri si appresta ad acquisire (facendo seguito ad un
invito francese, dopo il disastro della gestione coreana) i
cantieri navali di Saint-Nazaire, l’Eliseo li nazionalizza,
senza che - e questo ha dell’incredibile - le istituzioni
europee pronuncino una sola parola nè di condanna nè di
approvazione.
Alla luce di ciò si comprende quanto detto da Giulio
Tremonti, che in una intervista al Corriere sostiene come
l’asse franco-tedesco si sia spartito l’Europa in aree di
influenza: alla Germania l’Est europeo e in parte la Spagna,
alla Francia l’Italia.
Ecco allora che il cerchio si chiude. Il nastro si
riavvolge, ritorniamo a Plombières e al 1858 con una Italia
che è ritornata ad essere una pura espressione geografica,
sotto l’influenza francese che ci considera cortile di casa
come ai tempi di Napoleone III.
Siamo soli dunque e da qui si deve ripartire. È con la
politica estera che questo paese è nato ed è dalla politica
estera che si deve rinascere. Impostando una nuova politica
globale italiana, che senza rinunciare ai legami ideali
forti (anche se deboli politicamente) che abbiamo con le
società aperte occidentali, ci tiri fuori dall’angolo e
dialoghi anche con la Russia, l’Iran, la Turchia, la Cina
(ricordandosi però che essere amici non significa essere
servili). Si stringano cooperazioni rafforzate con l’altra
Italia che è in America Latina, e si stabilisca un asse
privilegiato nei rapporti con l’Africa.
Con una miopia politica che ha dello straordinario, per
troppi anni ci siamo dimenticati dei Sud del mondo, come se
semplicemente non esistessero. Le conseguenze si vedono ora
sotto forma di ondate migratorie: quando qualcuno sa che da
qualche parte può garantire a sè e ai propri figli una vita
migliore, parte e non c’è muro che possa fermarlo.
Che ci piaccia o no, nonostante straordinari esperimenti
politici in fieri, come quello europeo, il sistema
internazionale continua ad essere dominato dallo stato
monade westfaliano, che è una macchina che persegue
l’interesse nazionale, vale a dire accrescere la propria
forza e la prosperità dei propri cittadini.
Se noi, per il nostro “complesso della nazionalità” per
dirla con Cossiga, andiamo a Bruxelles a parlare di
interesse europeo, mentre gli altri ci vanno a perseguire i
loro interessi, faremo, così come la stiamo facendo, la fine
del vaso di coccio tra quelli di ferro e molti ne gioiranno
e approfitteranno. Diventeremo così un grande villaggio
vacanze dove il mondo sviluppato potrà divertirsi e
sbronzarsi, serviti da italiani che in abiti tipici, servono
prodotti tipici, cantando canzoni tipiche e nemmeno chiedono
la mancia.
Pubblicato su facebook il 2 settembre 2017 |