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Leo Alati

Bernie Sanders, iI vecchio socialista all’europea che sta conquistando i giovani americani

Dopo la netta vittoria sulla rivale Hillary Clinton in New Hampshire, Bernie Sanders inizia a essere conosciuto da molti europei. Ad attirare l’interesse di tanti non è solo la naturale simpatia per l’outsider che all’improvviso diventa (almeno per un giorno) frontrunner, come peraltro accadde anche a Barack Obama alle sue prime primarie, e neppure l’entusiasmo che la sua verve autentica attiva nei tanti giovani che lo sostengono. No, quello che colpisce molti europei è il sentire, forse per la prima volta, un possibile presidente americano che parla e ragiona “come noi”. O, per meglio dire, come i leader europei sempre meno sanno e vogliono parlare, e nel modo in cui invece molti cittadini del Vecchio continente vorrebbero che parlassero.

Bernie Sanders ha il coraggio di definire se stesso «un socialista» in un Paese in cui questa parola rappresenta sostanzialmente un certificato di morte politica. Eppure, nonostante dichiari esplicitamente di ispirarsi al modello socialdemocratico delle democrazie scandinave (o a quello che esso era), possiamo tranquillamente dire che, in Europa, i partiti dell’internazionale socialista hanno un’agenda politica molto più timida e difensiva. Se è inconfutabile che, almeno sul piano sanitario, qualunque sistema europeo è più equo di quello americano (anche dopo la riforma di Obama), è altrettanto vero che ormai, in termini di diseguaglianza crescente, di riduzione del reddito e delle opportunità del ceto medio e di alienazione dei “cittadini-non elettori” che Europa e America sono oggi assai più vicine di qualche decennio fa.

Il “modello renano” di capitalismo, un tempo orgoglio della socialdemocrazia europea, è ormai praticamente estinto ed è solo l’abnorme pressione fiscale di alcuni Paesi europei a differenziare il panorama economico tra le due sponde dell’Atlantico. Non è un caso che mentre è impossibile trovare tra i leader socialdemocratici europei gli stessi toni veementi e gli stessi impegni precisi nella lotta alla diseguaglianza, molte delle idee sostenute da Sanders possono essere ritrovate nel libro (Quanto capitalismo può sopportare la società?) che nel 2013 il politologo britannico Colin Crouch dedicava al declino della democrazia in Europa, dove «chi realizza il proprio reddito attraverso la speculazione finanziaria è protetto e si arricchisce, mentre chi l’ottiene svolgendo attività più produttive deve far fronte a difficoltà sempre maggiori». Un’affermazione che milioni di imprenditori, dipendenti, professionisti e artigiani potrebbero sottoscrivere.

Sanders non trova emuli in Europa, parliamoci chiaro, anche se non faticherà a trovare politici che sosterranno di “pensarla come lui” se la sua avventura dovesse andare avanti ancora a lungo. Ma è difficile immaginare Sanders fare a pacche sulle spalle con Marchionne. Seppure Sanders ha nella testa un’idea di Europa che appare lontana innanzitutto agli europei, le sue preoccupazioni non appaiono lontane da quelle di figure come Jefferson, i due Roosevelt o Johnson che della tutela e del benessere del ceto medio avevano fatto la loro stella polare, convinti che «la classe media e i lavoratori che producono la ricchezza dell’America meritino condizioni di vita decente e che i loro redditi debbano salire e non scendere». Come si vede non c’è niente di “populista”, ma molto di popolare in questa ambizione, come neppure nell’idea (tra le tante) di finanziare l’istruzione universitaria pubblica attraverso un prelievo fiscale sull’1% degli americani più ricchi.

Se confrontate alle posizioni di Pablo Iglesias o del primo Tsipras, o anche a quelle del leader laburista Corbyn, quelle di Sanders appaiono meno “radicali” ma allo stesso tempo meglio capaci di poter intercettare le preoccupazioni, la simpatia e forse il voto di un numero molto grande di elettori americani e non solo democratici, in particolare tra i giovani, le donne e le minoranze: un profilo di elettorato non così distante da quello che decretò il successo di Obama nel 2008, ragion per cui non stupisce la preoccupazione dello staff della Clinton.
Tornando all’Europa, è proprio per la sua natura autenticamente socialdemocratica ma per nulla populista che è sostanzialmente impossibile tracciare un paragone tra Sanders e altri leader europei. In questo senso le differenze restano. Come resta però il differente ruolo e peso politico di Usa ed Europa: per cui, quella riforma profonda e sempre più necessaria del rapporto tra democrazia e mercato che vista da qui potrebbe sembrare utopistica, potrebbe invece rappresentare l’alba di un cambiamento epocale se partisse dagli Stati Uniti.

Articolo di Vittorio Emanuele Parsi pubblicato su Il sole 24 ore l'11 febbraio 2016

 

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