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Leo Alati

 

 

 

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La voce dei riformisti vercellesi

Autopsia della sinistra italiana

Riformismo ed estremismo scandiscono da sempre tempi e mutamenti interni alla Sinistra, in particolar modo quella italiana. Dettano il respiro delle riforme, operano cesure nel dibattito politico, spostano correnti partitiche. E a volte, purtroppo, generano anche mostri. Questi e molti altri temi sono stati affrontati nel saggio “Gramsci e Turati, Le due sinistre” da Alessandro Orsini, professore aggregato di Sociologia politica e di Sociologia dell’educazione all’Università di Roma “Tor Vergata” e all’Università LUISS “Guido Carli”. Un libro che recentemente Roberto Saviano ha consigliato a chiunque “si senta smarrito a sinistra”, definendolo “la più bella riflessione sulla Sinistra degli ultimi anni”. Orsini, che ha raggiunto fama internazionale grazie anche alla pubblicazione negli Stati Uniti del suo “Anatomia delle Brigate rosse”, ha commentato con l’Avanti!online gli snodi più interessanti della sua analisi.

Perché il riformismo spaventa tanto gli estremisti?

Il riformismo spaventa l’estremismo di sinistra perché le riforme, quando sono ben fatte, privano i rivoluzionari delle condizioni che favoriscono la diffusione della violenza. I riformisti hanno questa ambizione: migliorare le condizioni di vita dei lavoratori fin da subito. I rivoluzionari pensano che il progetto politico dei riformisti sia una forma di accanimento terapeutico. Contro il capitalismo, secondo loro, si può soltanto staccare la spina. I riformisti pensano che il capitalismo sia una pecora che deve essere ben tosata, ma sono anche fermamente contrari al mercato autoregolato. I rivoluzionari pensano che i riformisti siano soltanto dei traditori prezzolati dalla borghesia.

La vera rivoluzione deve necessariamente passare attraverso una rottura netta con il passato o si possono “cambiare le cose” in maniera graduale?

Turati rifiutava di credere che il mondo sarebbe cambiato con un colpo di spugna. Mi sembra che la storia gli abbia dato ragione. Dove ha prevalso la ricetta leninista, la libertà è svanita e la povertà è aumentata. Dove ha prevalso la ricetta turatiana, sono cresciute la libertà e la ricchezza. Viviamo in un mondo pieno di cose brutte, ed è giusto denunciarle e combatterle come faceva Turati. Ma occorrono anche buone idee. Come tutti gli uomini, Turati ha commesso i suoi errori e aveva i suoi limiti, ma aveva anche un grande serbatoio di idee intelligenti. Purtroppo, Palmiro Togliatti lo ricoprì di disprezzo nel giorno della sua morte. Disse che Turati era stato tra i più spregevoli e corrotti tra gli uomini della sinistra. Un uomo di cui bisognava avere vergogna. Purtroppo, moltissimi hanno creduto a Togliatti. E hanno creduto anche a Gramsci, che definì Turati un “semifascista”.

Secondo lei oggi la sinistra è smarrita?

Secondo me, lo è. Roberto Saviano ha ragione su questo punto ed è stato coraggioso a dirlo così chiaramente nel suo articolo su Repubblica. È stato creato un partito, il PD, senza indicare i riferimenti ideali e culturali che fondano la sua azione politica. Ma la responsabilità di questo vuoto non è del PD. I politici fanno il loro mestiere. Cercano i consensi, non hanno il tempo di rinchiudersi negli archivi storici. Direi, piuttosto, che molti intellettuali e alcune case editrici, abbagliate dal mito di Gramsci, non sempre sono state capaci di fornire gli stimoli adeguati. Alcuni di loro, penso a Massimo Salvadori e a Luciano Pellicani, hanno cercato di sottolineare l’importanza del riformismo, senza incontrare troppi consensi. Tuttavia, la sinistra, sotto il profilo dell’identità politica, appare eccessivamente smarrita. A mio giudizio, anche per un fattore “G” (Gramsci) che ha frenato molte riflessioni. Rifondazione Comunista ha una robusta identità politica, ma non riceve più consensi; mentre il PD riceve milioni di voti, ma è privo di riferimenti culturali adeguati. Il PD dovrebbe dire quali sono i valori e gli ideali in cui crede. Turati ha lasciato un’eredità importante. C’è però un problema sotto il profilo pedagogico: Gramsci e Turati non possono stare nello stesso partito. Occorre avere il coraggio di prenderne atto e di scegliere. Piero Fassino li mise insieme nel congresso dei Democratici di Sinistra a Roma, il 5 febbraio 2005. Per me Fassino è un riformista che ha alcuni meriti importanti, ma la pedagogia dell’intolleranza non può coesistere con la pedagogia della tolleranza. Gramsci è l’eroe di Rifondazione Comunista ed è giusto che sia così. Il PD si interessi di più a Turati.

In che condizioni versa oggi il socialismo in Italia?

Il problema enorme a sinistra è che il termine “socialismo” è diventato quasi inservibile. Alcuni fattori, tra i quali anche l’accanimento ideologico del PDS, hanno distrutto questa parola. I socialisti sono stati ricoperti di disprezzo. Tutto è stato travolto, senza fare distinzioni. Con quali conseguenze? Quando Berlusconi ha iniziato a inanellare un successo dopo l’altro, la parola comunismo non poteva essere pronunciata, a causa dei disastri sovietici. Bisognava richiamarsi al socialismo, ma l’opinione pubblica non avrebbe accolto un simile riferimento perché “socialismo” era diventata una parola sconcia. Insomma, la parola comunismo era stata spazzata via dalla storia, ma la parola socialismo non era utilizzabile, almeno nel breve periodo. Ha avuto così inizio la storia dei simboli politicamente deboli, come la quercia, e una proliferazione di sigle senza contenuti culturali apprezzabili.

Perché tutto questo accanimento da parte dei comunisti contro il partito socialista?

Sotto il profilo culturale, ho ricercato le radici di questo accanimento nel mio libro “Gramsci e Turati. Le due sinistre” e prima ancora in “Anatomia delle Brigate rosse” (Rubbettino). Qui mi limito a fare una considerazione sulla storia più recente e dico che i comunisti avevano le loro “buone ragioni” a odiare Craxi, il quale aveva lavorato per rendersi autonomo, ingaggiando una dura battaglia culturale contro il PCI, contro il leninismo, contro gli aspetti totalitari della cultura di Gramsci e molto altro. Il Psi si smarcò dal PCI per molte ragioni. Una delle principali fu che i socialisti di Craxi pensavano che il PCI fosse un fattore di freno per lo sviluppo economico e culturale del Paese. Il PSI ha colpe gravi nel processo di disfacimento della sinistra, ma bisogna riconoscere che il PSI è stato l’unico vero partito riformista italiano.

Chi sono adesso i nemici del dialogo?

Per deformazione professionale cerco di guardarli sempre dentro di me. Diventerei un nemico del dialogo se io, per primo, ne additassi uno senza dargli la possibilità di replicare. Essendo un’intervista, e non un dibattito pubblico, mi perdoni se la lascio senza risposta.

Raffaele d’Ettorre 

Tratto dall'Avanti online del 28 febbraio 2012

(26 marzo 2012)

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