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Leo Alati

Art.18 esteso a tutti: è follia?

Vaghi ricordi giovanili mi dicono che il riformismo è quella dottrina politica secondo la quale è possibile modificare l’impianto della società e dello stato – migliorando le condizioni di vita e di potere dei più poveri e dei lavoratori e riducendo la potenza delle classi alte e dei capitalisti – senza bisogno di fare la rivoluzione.
Se non è impazzita la mia memoria, è così.
Il riformismo è una corrente del socialismo nata in contrapposizione al leninismo e ispirata a grandi pensatori marxisti come Edward Bernstein o Karl Kautsky, e che in Italia ha avuto prestigiosissimi interpreti come Turati e Nenni.
Allora non capisco bene perché dovrebbe essere una impresa riformista quella di cancellare un articolo dello Statuto dei lavoratori (proprio l’articolo che fu il risultato della più grande vittoria storica del riformismo socialista di Nenni, Lombardi e Brodolini), e cioè quello che ostacola i licenziamenti individuali dei lavoratori.
Cosa c’è di riformista nel modificare i rapporti di forza tra dipendente e datore di lavoro a favore del datore di lavoro?
Io non penso che sia illegittimo ritenere che l’attuale andamento dell’economia nazionale e internazionale, e i rapporti politici creati tra Europa e Italia, e gli effetti della crisi, eccetera eccetera, rendano necessaria questa misura di riduzione dei diritti dei lavoratori.
Penso che sia illegittimo chiamare riformista una idea come questa, e cioè una azione nettamente e chiaramente contro-riformista.
E addirittura pretendere che la cancellazione di una importantissima riforma sia un successo della sinistra moderna.
Personalmente sono convinto che la modernità non esiste se non comporta un aumento dei diritti e del tasso di uguaglianza sociale.
E che le politiche che riducono diritti ed uguaglianza siano politiche anti-moderne. Sono dispostissimo a prendere in considerazione i ragionamenti di chi mi dice che bisogna essere realisti e affrontare la crisi coi mezzi necessari, anche accettando un rinculo della modernità.
Mi disturba un po’ invece chi vuole raccontarmi la balla che modernità significhi mani libere al padronato.
Dopodichè, vi dirò che io non penso affatto che politiche di destra e antimoderne, e contro-riformiste aiutino a superare la crisi. Sono convinto che la crisi non possa essere superata ma debba essere rovesciata nel suo opposto. La crisi è figlia del reaganismo, non bisogna aver studiato economia per capirlo ( e io infatti non l’ho studiata…), e a me pare incongruo cercare di fermare la crisi aumentando la dose di reaganismo. Per questo trovo suicida la cancellazione dell’articolo 18 o qualunque altro provvedimento che gli assomigli.
Dicono che tanto l’articolo 18 viene usato pochissimo e quindi cambierà quasi nulla. Falso. Cambia tutto, perché il messaggio simbolico che viene trasmesso è questo: basta potere ai lavoratori, tutto il potere agli imprenditori. Che è esattamente l’dea di partenza del reaganismo. E’ la furia controriformista che ha caratterizzato gli ultimi 30 anni del capitalismo occidentale. Coi risultati che vediamo.
Per affrontare la crisi – credo io – bisognerebbe iniziare a convincersi che è il reaganismo che va cancellato. Come? Qui da noi, per esempio, si potrebbe partire da qui: invece di cancellare l’art. 18 si decide di estenderlo a tutti i lavoratori, anche quelli delle piccole aziende, e contemporaneamente si fa una legge che rende illegale il precariato. Ecco, queste sarebbero due belle riforme. Che credo sarebbero piaciute a Turati e a Brodolini…

Articolo di Piero Sansonetti pubblicato sul Garantista il 19 settembre 2014

(21/9/2014)

 

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