Art.18 esteso a tutti: è follia?
Vaghi
ricordi giovanili mi dicono che il riformismo è quella dottrina politica secondo
la quale è possibile modificare l’impianto della società e dello stato –
migliorando le condizioni di vita e di potere dei più poveri e dei lavoratori e
riducendo la potenza delle classi alte e dei capitalisti – senza bisogno di fare
la rivoluzione.
Se non è impazzita la mia memoria, è così.
Il riformismo è una corrente del socialismo nata in contrapposizione al
leninismo e ispirata a grandi pensatori marxisti come Edward Bernstein o Karl
Kautsky, e che in Italia ha avuto prestigiosissimi interpreti come Turati e
Nenni.
Allora non capisco bene perché dovrebbe essere una impresa riformista quella di
cancellare un articolo dello Statuto dei lavoratori (proprio l’articolo che fu
il risultato della più grande vittoria storica del riformismo socialista di
Nenni, Lombardi e Brodolini), e cioè quello che ostacola i licenziamenti
individuali dei lavoratori.
Cosa c’è di riformista nel modificare i rapporti di forza tra dipendente e
datore di lavoro a favore del datore di lavoro?
Io non penso che sia illegittimo ritenere che l’attuale andamento dell’economia
nazionale e internazionale, e i rapporti politici creati tra Europa e Italia, e
gli effetti della crisi, eccetera eccetera, rendano necessaria questa misura di
riduzione dei diritti dei lavoratori.
Penso che sia illegittimo chiamare riformista una idea come questa, e cioè una
azione nettamente e chiaramente contro-riformista.
E addirittura pretendere che la cancellazione di una importantissima riforma sia
un successo della sinistra moderna.
Personalmente sono convinto che la modernità non esiste se non comporta un
aumento dei diritti e del tasso di uguaglianza sociale.
E che le politiche che riducono diritti ed uguaglianza siano politiche
anti-moderne. Sono dispostissimo a prendere in considerazione i ragionamenti di
chi mi dice che bisogna essere realisti e affrontare la crisi coi mezzi
necessari, anche accettando un rinculo della modernità.
Mi
disturba un po’ invece chi vuole raccontarmi la balla che modernità significhi
mani libere al padronato.
Dopodichè, vi dirò che io non penso affatto che politiche di destra e
antimoderne, e contro-riformiste aiutino a superare la crisi. Sono convinto che
la crisi non possa essere superata ma debba essere rovesciata nel suo opposto.
La crisi è figlia del reaganismo, non bisogna aver studiato economia per capirlo
( e io infatti non l’ho studiata…), e a me pare incongruo cercare di fermare la
crisi aumentando la dose di reaganismo. Per questo trovo suicida la
cancellazione dell’articolo 18 o qualunque altro provvedimento che gli
assomigli.
Dicono che tanto l’articolo 18 viene usato pochissimo e quindi cambierà quasi
nulla. Falso. Cambia tutto, perché il messaggio simbolico che viene trasmesso è
questo: basta potere ai lavoratori, tutto il potere agli imprenditori. Che è
esattamente l’dea di partenza del reaganismo. E’ la furia controriformista che
ha caratterizzato gli ultimi 30 anni del capitalismo occidentale. Coi risultati
che vediamo.
Per affrontare la crisi – credo io – bisognerebbe iniziare a convincersi che è
il reaganismo che va cancellato. Come? Qui da noi, per esempio, si potrebbe
partire da qui: invece di cancellare l’art. 18 si decide di estenderlo a tutti i
lavoratori, anche quelli delle piccole aziende, e contemporaneamente si fa una
legge che rende illegale il precariato. Ecco, queste sarebbero due belle
riforme. Che credo sarebbero piaciute a Turati e a Brodolini…
Articolo di Piero
Sansonetti pubblicato sul Garantista il 19 settembre 2014
(21/9/2014) |