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Leo Alati

Appendino e il Profumo di potere

La sindaca sigla la pace con il numero uno della Compagnia di San Paolo. Ragioni di realpolitik o avvenuta cooptazione nel Sistema Torino? E in fondazione Crt osserva muta le manovre di Palenzona

È fatta. Anche Chiara Appendino è ormai della compagnia. Anzi, della Compagnia, giacché proprio per mettere fine alle schermaglie di sette mesi fa, quando chiedeva la testa diFrancesco Profumo, colpevole (suo malgrado) di essere stato nominato al vertice della fondazione San Paolo da un Piero Fassino agli sgoccioli del suo mandato, ha solennemente dichiarato di lavorare “bene” con l’ente di corso Vittorio Emanuele e che “il presidente sta facendo un buon lavoro”. Se scontro è stato – ed è stato – tutto è da circoscrivere alle modalità della designazione: “Ho sempre detto - spiega rispondendo ai giornalisti - che secondo me fare le nomine negli ultimi sei mesi è sbagliato. Stiamo lavorando sul regolamento del Comune e proporremo di inserire il semestre bianco, per cui il sindaco, che sia Appendino o un altro, negli ultimi sei mesi del suo mandato non potrà fare nomine”. Caso chiuso.

Certo, ragioni di realpolitik devono aver consigliato alla sindaca grillina di trovare un “accomodamento” con un’istituzione che a Torino (e non solo) rappresenta un influente centro di potere, con cui chi siede al piano nobile deve fare i conti, vie più se le casse piangono miseria e di quel pingue forziere si ha bisogno.

Appendino, che ascolta in prima fila per oltre due ore la presentazione del piano, dice di avere incontrato Profumo durante le consultazioni compiute per mettere a punto le linee strategiche presentate oggi in pompa magna a interlocutori politici e stakeholder. Ora Comune e Compagnia stanno lavorando per definire la nuova convenzione che ha come elemento centrale le politiche sociali: “Parliamo di povertà, disoccupazione giovanile e interventi sul sociale. Ci sono diversi assessori coinvolti”, sottolinea Appendino. Un primo passo riguarda l’ex Moi, le palazzine del villaggio olimpico da tempo occupate da famiglie di immigrati e profughi: l’obiettivo è costruire un progetto e intervenire sulla prima palazzina a primavera. Un piano che in verità fino a pochi mesi fa non sembrava incontrare grande entusiasmo dalle parti della fondazione, ma nel frattempo di acqua sotto i ponti del Po ne è passata parecchia e chissà.

Anche Profumo, abbandonando per un attimo il tono professorale della sua esposizione, usa un tono pacato: “La Compagnia è una signora che ha 454 anni, ha una sua reputazione, è un’istituzione solida, un patrimonio per la città. La politica ha tempi molto più limitati, le scadenze elettorali sono frequenti. Fortunatamente c’è un’istituzione come la nostra che guarda più avanti”. E aggiunge: “Al Comune non diamo solo risorse, ma anche competenze. È un sostegno importante, visto che avrebbe problemi ad assumere”. Un ruolo, quello delineato esplicitamente questa mattina da Profumo, attivo nelle strategie cittadine, da protagonista e non un mero erogatore di finanziamenti (il famoso “bancomat”).

Certo, a fronte di tanta facondia stupisce il silenzio della prima cittadina sulle vicende che riguardano in ultimo l’altra fondazione, la cugina di via XX Settembre. Da mesi in città si sapeva del pressing su Antonio Maroccoperché lasciasse anticipatamente la presidenza della Crt, favorendo così il passaggio del testimone al cuneese Giovanni Quaglia, politico di vecchia scuola e frequentazione, messo in ibernazione dal suo dominus, Fabrizio Palenzona, proprio in attesa dell’occasione propizia per la successione. Occasione che è giunta ieri, con le dimissioni del vecchio notaio e l’annunciata convocazione del consiglio di indirizzo dell’ente per “formalizzare” l’incoronazione di Quaglia. Una manovra di palazzo, orchestrata secondo i meccanismi fumosi, opachi e da ancien régime. Quanto di più lontano dai criteri di “trasparenza” che, a parole, sono una delle cifre dell’impegno politico della Appendino. Ma Palazzo civico è silente. Peggio, pare che qualche braccio (destro o sinistro) della sindaca sia in queste ore indaffarato a trigare attorno a misteriose cordate in vista del rinnovo del cda.

Un silenzio che la giovane madamin di Cit Turin condivide, del resto, con Sergio Chiamparino. Sono della partita, complici di questa brutta pagina di “sistema” (“Sistema Torino” do you remember, Chiara?) oppure si sono trovati spiazzati e hanno dovuto abbozzare facendo buon viso a un cattivo gioco? E non si parla “solo” degli organigrammi: possibile che la decisione (o l’orientamento, giusto per accontentare Massimo Lapucci) disottoscrivere l’aumento di capitale di Unicredit – a condizioni che si riveleranno onerosissime, in una banca la cui governance è a rischio) – non abbia indotto nessun politico ad aprire una discussione? Eppure parliamo di un patrimonio che è frutto (anche, all’origine) dei risparmi dei torinesi. Possibile che a nessuno venga il dubbio che certe scelte “etero dirette” paiono essere utili soprattutto a certe carriere? Appendino se ci sei, batti un colpo.

 

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