L’analfabetismo funzionale:
progresso e scienza cambiano la cultura
Per
millenni, il concetto di analfabetismo ha avuto un significato più o meno
identico. In passato e fino a poco meno di un ventennio fa, si considerava
analfabeta chi non sapeva leggere e scrivere e poneva una croce quale firma su
un documento. Ve la ricordate Sofia Loren in “Matrimonio all’italiana”, versione
in pellicola della commedia di Eduardo De Filippo “Filumena Marturano”? Avete
presente la scena di quando Filumena appone sul documento propostole
dall’avvocato la sua firma gigantesca? Eppure, a quell’epoca, Filumena Marturano
era considerata e da considerare una persona alfabetizzata: bene o male leggeva
e scriveva.
Saper leggere e scrivere era il fondamento culturale da possedere per poter
accedere ad un posto di lavoro che presupponeva la lettura o la scrittura di
documenti e, infatti, la scuola dell’obbligo finiva con la licenza elementare.
La licenza media, fino ad un tempo poco lontano dai giorni nostri, era un pezzo
di carta che consentiva di occupare ruoli che rappresentavano un certo status
symbol. Per esempio si poteva aspirare alla carriera di sottufficiale
nell’esercito o si poteva diventare impiegati in qualche ufficio, con tanto di
stanza o, quantomeno, di scrivania propria. Insomma, contare un pochino.
Successivamente,
con l’inizio delle conquiste tecnologiche e intellettuali, non poteva bastare
più quello che poteva trasmettere la scuola elementare, per cui si legiferò che
la scuola dell’obbligo doveva finire con la licenza media. Tra gli status
symbol, il posto che, sino a quel momento, era stato occupato da quel “pezzo di
carta” denominato Licenza Media, veniva assegnato di fatto al Diploma Superiore
o Maturità, con cui si poteva aspirare a posti di lavoro di tutto rispetto,
nonché alla carriera di Ufficiale in qualche Arma dell’esercito.
Sin qui, la situazione è stata sempre, più o meno, sotto controllo: il
livello di alfabetizzazione risultava, bene o male, adeguato all’epoca in cui si
viveva. Il progresso e, conseguentemente, il fenomeno consumista viaggiavano a
ritmo serrato ma non vertiginoso: erano seguibili. Il livello di
alfabetizzazione del lavoratore risultava adeguato al ruolo svolto sino alla
pensione. Improvvisamente, il cambiamento.
L’avvento dell’éra virtuale e del digitale, nonché di quello della
velocizzazione delle telecomunicazioni con l’utilizzo dell’etere, hanno causato
un cambiamento repentino nei consumi, ormai sfrenati, e, quindi, nel concetto di
alfabetizzazione, creando, di conseguenza, una folta schiera di “analfabeti
funzionali”, con tanto di “pezzo di carta”, laurea o diploma che sia, ma
incapaci di leggere e scrivere nell’accezione moderna del termine. E’ quanto mai
inutile innalzare la scuola dell’obbligo alla Maturità: non si risolve in questo
modo il problema funzionale, che và risolto insegnando a “leggere” e “scrivere”
in un modo adeguato all’epoca in cui si vive. E’ inutile spendere un capitale
per comprare ai figli il famigerato pezzo di carta negli ormai più che numerosi
e obsoleti “diplomifici” o “laureafici”. Nella società, essi rimarranno comunque
e sempre dei pericolosissimi analfabeti funzionali e continueranno a non saper
“leggere” e “scrivere”.
L’analfabetismo è un danno per la società, per tutta la società. Anche, sia
pure col tempo, per quella parte di essa a cui fa comodo una situazione
culturale idonea a trarre profitto dal consumismo che si è artatamente plasmato.
Mantenere se stessi in una condizione di analfabetismo funzionale è peggio che
darsi all’alcool o alle droghe pesanti. La pigrizia, la poca voglia di lavorare,
i guadagni facili e, quindi, discutibili dal punto di vista dell’onestà, il non
leggere per “sapere” o, semplicemente, per informarsi o per il proprio diletto,
la mancanza di “voglia di pensare”, la non partecipazione alla vita sociale sono
la conseguenza di questa moderna forma di analfabetismo che ha come sue
caratteristiche primarie l’egoismo, l’individualismo, l’arroganza e la
presunzione. Sono appunto queste le quattro forme principali dietro cui si
nascondono gli analfabeti funzionali. Sono inoltre queste le forme principali
che apportano arretratezza intellettuale e abbassamento della media sociale del
Q.I.
Attenzione:
analfabeta funzionale può essere chiunque e può occupare qualsiasi ruolo,
operaio, impiegato, dirigente, avvocato o medico che sia. Da questo è facile
immaginare i danni che può subire il contesto sociale. Questi individui sono il
male del secolo, più del cancro e dell’AIDS. Danneggiano tutti. Votano un
candidato politico soltanto perché ha la faccia simpatica o perché è “fico” e
non perché ne condividono il programma, che nemmeno vanno a consultare.
Inquinano. Si lasciano trascinare con molta facilità in situazioni a dir poco
socialmente rischiose. Non hanno il senso del valore del denaro. Non hanno
cultura adeguata all’epoca ed alla società in cui vivono. Si mascherano e
interpretano il personaggio che si sono costruiti, propinandolo ad altri
“analfabeti funzionali” che li seguono e gli credono. Non sanno “leggere” e
“scrivere”, né si sforzano d’imparare: per leggere e scrivere bisogna avere una
cultura sociale adeguata, accompagnata da forte spirito di sacrificio e capacità
di rinuncia. Un telefonino si compra per telefonare, cioè comunicare, non perché
è fico, ha 100 suonerie e consente d’inviare sms con le icone o mms con foto e
grafici.
L’analfabetismo funzionale ci sta trasformando in una società fondata sul
precariato, in una società apparente, infelice, violenta, incapace di
comunicare, di capire, fortemente depressa perché inconsciamente consapevole del
proprio status, ma contestualmente talmente pigra da preferire la via più facile
della depressione a quella del cavallo che corre per vincere superando tutti gli
ostacoli che si frappongono tra lui ed il vessillo della vittoria sociale. Nelle
nazioni cosiddette “stataliste”, le repubbliche popolari, il problema
dell’analfabetismo funzionale è ben conosciuto e viene affrontato in modo
pratico con il controllo dello stato sullo sviluppo, il quale viene diffuso in
modo graduale per far sì che la popolazione ne assorba il positivo il più
possibile, alfabetizzandosi nei tempi logici. E’ ovvio che per raggiungere
questo scopo occorre imporre dei divieti per evitare i rischi di corruzione del
processo: per esempio si vieta la pubblicità di prodotti stranieri
eccessivamente votati al consumismo.
La vera fase attiva dello sviluppo economico è quella del consumerismo, cioè
della creazione del bisogno di prodotti o beni che prima non esistevano o non si
ritenevano indispensabili. Tutto sommato, il consumerismo non è da guardare da
un punto di vista completamente negativo: in fondo migliora la qualità della
vita, il livello culturale, aguzza l’ingegno e, quindi, l’intelligenza. Nascono
nuove imprese, nuova occupazione e ricchezza. Qualche esempio: alla fine degli
anni ’50, il desiderio popolare era comprare la Cinquecento o, al massimo, la
Seicento. Spartane, senza fronzoli: con una carrozzeria, dei sedili, un volante,
un motore, veniva soddisfatto il desiderio collettivo di motorizzarsi per
spostarsi autonomamente. E la carta igienica? Prima degli anni’50 era un
prodotto da ricchi: si trovava negli alberghi a quattro o cinque stelle. Nelle
case e nelle latrine pubbliche si usavano i fogli di un vecchio quotidiano
tagliati a quadratini. E i pannolini per i bimbi? Per arrivare alla diffusione
popolare di quelli “a perdere” dobbiamo addirittura arrivare alla fine degli
anni ’70. Ecco, questo è, in parole povere, il consumerismo: l’abituarsi al
consumo costante di un prodotto, tanto da non poterne più fare a meno,
indipendentemente dalla marca. E’ soltanto il bene in se stesso l’oggetto del
desiderio o della soddisfazione del bisogno.
Quando, invece, non ci si accontenta più della spartana Cinquecento, ma si
comincia a desiderare (e a comprare) una vettura di grossa cilindrata (perché è
bella), vernice metallizzata, climatizzatore, insomma full optional, oggetto di
uno status symbol ormai di massa, oppure la carta igienica pretendendo però che
sia Scottex, oppure i pannolini, ma Lines, irruentemente entriamo nel pericoloso
fenomeno consumistico, diventiamo schiavi di una dittatura molto pericolosa che
spegne la nostra vera natura, la nostra personalità, la nostra essenza.
Ci ammaliamo di una malattia che non ci fa rendere conto di essere ammalati.
Diventiamo frenetici, ma inconcludenti. Abbiamo sempre da fare, ma realmente non
facciamo niente. Smettiamo di essere noi stessi, iniziando ad interpretare
personaggi che col tempo ci convinciamo di essere, ma che non siamo. Perdiamo il
gusto di pensare, la voglia di apprendere. Non leggiamo, oppure, se leggiamo,
non capiamo. Quello che noi interpretiamo come progresso corre troppo, non
riusciamo a seguirlo, a capirlo. Ci spegniamo piano piano. Iniziamo a vegetare
senza rendercene conto, facendo quello che tutti fanno, pensando di essere i
soli a farlo, di avere un’esclusiva che non esiste. Perdiamo il dono della
comunicazione. Si copia, non si produce. S’interpreta, non si vive. Fin quando
non sopraggiunge la depressione, quando ci accorgiamo di non saper “leggere” e
“scrivere” come si dovrebbe nella nostra epoca, cioè quando ci accorgiamo di
essere analfabeti funzionali. Del resto, la definizione di consumismo che si
utilizza negli ambienti del marketing è chiarissima: consumismo = tendenza,
rafforzata dalla pubblicità e dalle moderne tecniche pubblicitarie, ad un uso
accelerato di beni e servizi, proposti e assunti come simbolo di prestigio
sociale… E di analfabetismo funzionale.
Articolo di Nino Caliendo pubblicato il 3 febbraio 2015
(3/2/2015 ) |