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1944, via Rasella. Una scomoda verità

Alberto Benzoni

L’avvocato di Erich Priebke ha diffuso oggi un brano del video-testamento in cui l’ex SS fa riferimento all’esecuzione alle Fosse Ardeatine a Roma cui partecipò in prima persona il 24 marzo del 1944 e in cui vennero uccise 335 persone. Nel video girato dieci anni fa, Priebke afferma tra l’altro che i Gap (Gruppi di azione patriottica), i gruppi di partigiani organizzati dal Partito Comunista, che “fecero l’attentato” sapevano che ci sarebbe stata la rappresaglia perché “Kesserling aveva messo l’avviso che la rappresaglia seguiva gli attentati. Loro fecero ciò a proposito perché pensavano che la rappresaglia poteva provocare una rivoluzione della popolazione”. Una testimonianza che ha il sapore di una sfida velenosa mentre il prefetto di Roma vieta la sepoltura di Priebke nel territorio della capitale e della provincia..

“Compagni, attenti alle provocazioni”. Un’avvertenza che non valeva, e non vale, soltanto nella gestione delle manifestazioni politiche e sindacali; ma anche nella gestione del confronto politico. E che significa, in concreto, isolare la fonte della provocazione, non dargli spazio, neutralizzarla, ignorarla. A partire dalla squalifica preventiva del suo autore.

Nel caso di Priebke, l’operazione è facile; per non dire scontata in partenza. Come può permettersi l’ultimo dei criminali nazisti in circolazione, colui che ha progettato e attuato il massacro delle Fosse Ardeatine, di chiamare in causa la Resistenza romana, nel miserevole tentativo di cancellare il suo crimine? Perché, se il 24 marzo è stato un crimine, Via Rasella è stato un legittimo atto di guerra; e chi vuole rimettere in discussione l’azione gappista, magari solo contestandone le motivazioni, vuole, in realtà, giustificare la rappresaglia.

E però può succedere che anche il peggiore dei criminali (e Priebke lo è, ma solo per la sua feroce ottusità quando in giro per l’Europa i nazisti hanno compiuto cose di gran lunga più orrende e senza l’alibi degli ordini ricevuti) possa enunciare una qualche verità. E, nel caso specifico, l’ex ufficiale delle SS, quando sostiene che l’attentato del 23 marzo aveva per scopo di scatenare reazioni e controreazioni incontrollabili che dovevano sfociare nell’insurrezione, ha perfettamente ragione.

È vero: i testimoni e gli storici comunisti (a partire da Amendola) hanno sostenuto, successivamente, che l’azione di via Rasella era stata richiesta dagli alleati; serviva a dimostrare che Roma non era una città aperta; intendeva colpire l’apparato militare tedesco. Tre evidenti controverità. Gli alleati, inchiodati a marzo ad Anzio, non avevano alcun bisogno di sostegni di quel tipo; tutti sapevano che Roma non era una città aperta, ma tutti, alleati compresi, avevano bisogno di mantenere in piedi questa finzione e, infine, si stenta a comprendere come l’uccisione di una trentina di riservisti altoatesini potesse avere un qualsiasi significato militare.

Resta l’obbiettivo politico. Sconfiggere l’attesismo, stanandolo perché (siamo prima della svolta di Salerno) l’attesismo sostenuto da Vaticano, alleati, resistenti monarchici, Bandiera rossa (“si lotta collettivamente nelle periferie proletarie; buttare le bombe in centro è puro avventurismo”), forze moderate e avallato, come male minore dagli stessi tedeschi, emarginava totalmente il Pci. Per sfuggire alla morsa, l’unica possibilità era quella di destabilizzare radicalmente la situazione. Muoiono in un attentato diecine di soldati tedeschi, i capi nazisti locali perdono la testa e, anche su sollecitazione di Hitler, decidono rappresaglie di massa che colpiscono direttamente la città. Parte, per reazione una sollevazione spontanea come nel caso di Napoli, con la fondamentale differenza rispetto a Napoli, che questa sollevazione sarà guidata dai comunisti.

Uno schema che non si è inventato Priebke, ma che risulta, con chiarezza cristallina, dalle testimonianze dei comunisti dell’epoca: dall’Unità, ai testimoni interrogati, subito dopo la liberazione dagli agenti alleati, allo stesso Amendola, nelle sue Lettere a Milano.

Questo per dire che la dirigenza romana del Pci scontava la rappresaglia solo che se l’immaginava più feroce, e diversa, da quella che poi si verificò. Un errore di valutazione che, a partire dalle Fosse Ardeatine, la Resistenza antifascista tutta avrebbe scontato amaramente. Non ci sarebbe stata nessuna insurrezione, nessuna bandiera rossa ad accogliere le truppe alleate, ma nel contempo, avremmo tutti pianto la morte di Montezemolo, dei capi militari, degli uomini di Bandiera rossa e del Partito d’Azione, la perdita irreparabile di Bruno Buozzi e di Eugenio Colorni.

Un errore tragico. Perché non ammetterlo? Così da lasciare, decenni dopo, al peggiore dei testimoni il discutibile onore di ricordarcelo?

 

Pubblicato il 17-10-2013 su Avanti!

 

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