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Leo Alati

Politici e personaggi

Non poteva che finire così, nel ridicolo di un'autosospensione lampo causata da un'intercettazione fantasma, la parabola scanzonata e grottesca del governatore siciliano Rosario Crocetta, icona dell'antimafia in conflitto con un'icona più icona di lui, Lucia Borsellino. La dea Nemesi è impietosa, e spietatamente redistribuisce secondo giustizia e verità quei torti e quelle ragioni che una politica in crisi di identità ha, con tutta evidenza, malamente spartito. Il problema di Rosario Crocetta, infatti, non è la mafia né l'antimafia, non sono le intercettazioni effettivamente registrate né le intercettazioni con comodo smentite perché, forse, segretate: il problema di Rosario Crocetta è Rosario Crocetta. Così come il principale nemico dell'ex pm palermitano Antonio Ingroia, entrato spavaldamente in politica e dall'arena politica cacciato a furor di popolo, è stato Ingroia Antonio.

Mentre a Napoli il sindaco Luigi De Magistris, detto “Giggino 'a manetta”, pare soccombere non a causa delle trame camorriste né delle code 'ndranghetiste, bensì in ragione di un'evidente inadeguatezza al ruolo che ricopre. Del sindaco di Roma Ignazio Marino, che in comune con Crocetta ha l'esibizione delle mani pulite e l'allegria di fondo, è superfluo dire: di gaffe in gaffe, verso l'abisso. I casi sono molti ed è inutile allungare il già lungo elenco. Quel che conta è il dato politico e il dato politico balza agli occhi: i partiti sono privi di una classe dirigente credibile, hanno pensato di superare l'impopolarità che li affligge reclutando qua e là personaggi popolari perché eccentrici rispetto ai canoni classici della politica professionale, e poi, con gran stupore, hanno scoperto che essere un personaggio non basta. Occorre anche saper “fare politica”.

Era già successo con la mitica società civile, smitizzata dal rapido e disastroso passaggio al governo di Mario Monti e dei suoi blasonati ministri, spesso portatori sani di interessi malsani. Rosario Crocetta, dunque, è solo una metafora. E, diciamo la verità, imputargli la mancata reazione di sdegno nel corso di una telefonata riservata con un vecchio “amico” che avrebbe teorizzato la necessità di “far fuori” l'allora assessore Lucia Borsellino così come la mafia fece fuori suo padre Paolo, è una porcata. Tra amici si scherza, si usano paradossi, e delle parole usate le intercettazioni non colgono né possono cogliere i toni. Ma i toni, spesso, sono tutto. E' però sintomatico che la notizia dell'intercettazione sia stata presa al balzo dal segretario del Pd Matteo Renzi e il suo vice Lorenzo Guerini per chiedere la testa di Crocetta. Ne hanno chiesto la testa perché politicamente inetto, ma hanno dovuto nascondersi dietro il velo dell'antimafia. E si capisce: a furia di rottamare “i politici di professione” pompando nelle vene delle istituzioni, degli enti locali e delle regioni presunti anticorpi con sembianze da guitto, da poliziotto o da magistrato, finisce che gli argomenti politici non abbiano più alcuna presa. Occorre allora ricorrere alle argomentazioni morali o ai siluri giudiziari, continuando così ad alimentare un corto circuito mediatico e logico di cui la prima vittima è la politica. C'è solo da sperare che tutto ciò serva da lezione per il Pd, che in vista delle amministrative del prossimo anno ha sin d'ora il problema di trovare candidati credibili alla carica di sindaco. Persone, possibilmente, non personaggi.

Articolo di Andrea Cangini pubblicato su quotidiano.net il 17 luglio 2015

 

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